Il nodo “protezione”: frenata del governo sulla linea dura. La Lega non ritira i suoi emendamenti

Gian Micalessin

Il partito di Salvini preme per la cancellazione dell”escamotage” più usato dai clandestini per non essere rimpatriati. Fdi e Fi cauti: tutto rinviato al confronto in Parlamento. E oggi la premier Meloni vola in Etiopia. Non funziona, non rientra nella normativa europea e rappresenta, in sostanza, l’escamotage legislativo più utilizzato per garantire la permanenza in Italia di decine di migliaia di migranti irregolari che altrimenti andrebbero immediatamente rimpatriati. Eppure l’istituto della «protezione speciale» resta il tema più controverso e delicato di quel «Decreto Cutro» con cui le forze di maggioranza intendono modificare e inasprire le norme sull’accoglienza. Così controverso da spingere Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia a non affidarne la modifica, come previsto, ai due emendamenti presentati ieri in commissione Affari Costituzionali del Senato. Tutto viene rimandato, invece, alla prossima settimana quando l’argomento verrà dibattuto nell’aula del Parlamento. Dalla decisione traspaiono le diverse sensibilità con cui le forze di governo affrontano una riforma trasformatasi nel nodo di Gordio del «Decreto Cutro». La Lega preme per la cancellazione della protezione speciale e non intende – spiega il capogruppo leghista a Palazzo Madama Massimiliano Romeo – ritirare i 21 emendamenti presentati al decreto. Fratelli d’Italia, ed in parte Forza Italia, consigliano, invece, maggior cautela. Il partito di Giorgia Meloni e quello di Silvio Berlusconi temono che una modifica troppo radicale, non accompagnata da un voto dell’aula, sollevi le perplessità del Quirinale rendendo possibile un rinvio alle Camere del decreto. I timori riguardano, comunque, soltanto le modalità con cui eliminare le norme della protezione speciale, non la necessità e l’urgenza di farlo. Le forze di maggioranza sono concordi nel considerarla un obbrobrio giuridico varato dal governo Conte Due al solo scopo di resuscitare la protezione umanitaria, cancellata nel 2018 da Salvini, riconquistando così i consensi dei fondamentalisti dell’accoglienza. Una convinzione confermata da numeri e risultati non certo positivi. Presentata da Pd, M5S e sinistra come norma fondamentale per far emergere dalla clandestinità i migranti e farli approdare al mercato del lavoro la protezione speciale si è rivelata un fallimento totale. Introdotta il 22 ottobre 2020 con un decreto firmato dall’allora ministro dell’Interno Luciana Lamorgese la protezione speciale ha garantito, in meno di tre anni, più di 45mila permessi di soggiorno biennali ad altrettanti migranti privi di tutti i requisiti previsti dalle norme europee sull’asilo. Nel contempo ha traghettato nel mondo del lavoro poco più di 2680 soggetti. Confermando così la tendenza – assai diffusa tra i migranti irregolari – a considerare l’Italia una semplice piattaforma dove attendere un passaggio verso Francia, Germania o destinazioni più favorevoli senza perseguire, nel frattempo, una possibile integrazione o regolarizzazione. E a renderla un istituto ancor più inadeguato s’aggiungono contenuti in palese contrasto con le rigide norme europee sul diritto alla protezione internazionale. Per giustificare il divieto di respingimento o espulsione dello straniero la protezione speciale arriva ad invocare il mancato «rispetto della vita privata e familiare del migrante» equiparandolo ad una «violazione del diritto». E impone di valutare la concessione del permesso di soggiorno sulla base della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine.

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