Il vero nemico resta l’inflazione

Veronica De Romanis

Guidare la Banca centrale europea sta diventando sempre più complesso. In questi ultimi mesi, la Bce ha ricevuto molte critiche da diversi esponenti politici del nostro Paese. Per alcuni fa “troppo”, per altri “troppo poco”, per altri ancora fa “troppo tardi”. Eppure, fino allo scorso anno, l’operato di Francoforte non è mai stato messo in discussione. Il motivo è semplice. La politica monetaria era espansiva. Che cosa significa? I tassi venivano tenuti bassi e i debiti degli Stati membri dell’area dell’euro venivano acquistati in quantità significative. In particolare, durante la pandemia. L’obiettivo era quello di sostenere le famiglie e le imprese con iniezioni di liquidità e basso costo del denaro. Una simile politica non poteva che raccogliere il favore della classe dirigente di un’economia come la nostra che “vanta” il secondo debito in rapporto al Pil più elevato dopo quello greco. Con l’arrivo della crisi energetica, quindi dell’inflazione, la Bce ha dovuto “normalizzare” la sua politica mettendo fine al periodo (durato probabilmente troppo a lungo) dei tassi bassi. E, così, sono iniziate le critiche.

In primo luogo, si è detto che alzare i tassi era inutile in presenza di un’inflazione da offerta, cioè derivante dall’aumento dei prezzi dell’energia: tassi più alti non avrebbero cambiato la situazione che era il risultato di uno shock esogeno: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Nel giro di pochi mesi, però, l’inflazione ha smesso di essere generata solo dal lato dell’offerta. Lo dimostra la dinamica dell’inflazione core, l’indicatore depurato dagli energetici e dagli alimentari. A febbraio ha raggiunto il 6,3 per cento, quasi un punto percentuale in più rispetto al mese di novembre. A fronte di questi dati, alzare i tassi è la cosa giusta da fare. Eppure, le critiche non sono finite. Sono in molti a ritenere che il rialzo dei tassi dovrebbe avvenire in modo ben più graduale. Una posizione che si è rafforzata in questi giorni con il fallimento della Silicon Valley Bank e i problemi della banca svizzera Credit Suisse.

L’incremento di mezzo punto percentuale deciso dal Consiglio direttivo della Bce giovedì scorso non è piaciuto a più di un esponente del governo. In particolare, il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dichiarato che «aumentare il costo del denaro non è giusto perché arreca danno alle imprese». A suo avviso «bisognerebbe studiare una strategia differente per combattere l’inflazione». Studiare soluzioni alternative è certamente possibile. È bene, però, tenere a mente che – ad oggi -, variare i tassi (in aumento quando c’è inflazione, in diminuzione nel caso contrario) è la politica a cui ricorrono tutte le banche centrali. Nessuna esclusa. Chiaramente questa politica ha delle implicazioni. Del resto, è esattamente ciò che ci si aspetta che accada: tassi più elevati servono a raffreddare l’economia e, quindi, a calmierare la corsa dei prezzi. In altre parole, l’impatto negativo a cui fa riferimento Tajani è inevitabile quando si combatte l’inflazione che, non deve essere dimenticato – è una tassa che colpisce maggiormente le persone svantaggiate. Fa, quindi, molto bene la Bce a perseguire il suo obiettivo, ossia la stabilità dei prezzi. Il compito di chi ha responsabilità di governo dovrebbe essere quello di minimizzarne gli impatti. Ciò dovrebbe avvenire attraverso provvedimenti capaci di distribuire i costi tra i cittadini. Ma anche con scelte politiche volte a contribuire al rafforzamento dell’Unione.

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