Se il governo ha paura del dolore

Annalisa Cuzzocrea

Tutto di questo incontro comunica distanza: le foto scelte da Palazzo Chigi, le uniche accessibili, perché il governo ha fatto attraversare mezza Italia ai sopravvissuti della strage di Cutro, ai parenti delle vittime – la conta è arrivata a 86, di cui 35 minori – preoccupandosi soprattutto che nessuno li vedesse. Che nessuno potesse avvicinarli. Che con loro non ci fossero gli avvocati. Che i giornalisti fossero tenuti il più possibile distanti. Il pullman della Polizia che li ha condotti fin qui si attacca al portone sul retro di Palazzo Chigi in modo che neanche lo zoom di un fotografo possa cogliere uno sguardo, un volto, tanto meno intercettare una frase. Si spostano le auto degli apparati di sicurezza per fare da schermo a chi si assiepa e con quelle persone vorrebbe parlare. L’incontro dura poco più di un’ora e mezza. Si appellano alla madre Giorgia Meloni, i naufraghi, perché comprenda il loro dolore. Ma la madre Giorgia Meloni chiede: «Sapevate quali sono i rischi della traversata? Eravate al corrente?». Non solo, lo chiede. Ma si premura di far sapere di averlo chiesto con lo scarno comunicato che esce a mezzogiorno e mezzo dal suo ufficio comunicazione. La presidente del Consiglio ha incontrato il dolore che aveva voluto sfuggire a Crotone, quando non si era avvicinata neanche a portare un fiore su una bara, una simbolica carezza a quei naufraghi senza colpa. Tutti profughi, fossero vivi lo sarebbero stati, visto che arrivavano da Siria, Afghanistan, Pakistan. Aveva addirittura tentato il blitz, il governo: spostare le salme a Bologna prima del suo arrivo in Calabria, in modo da non doversi neanche giustificare per il mancato omaggio a quelle morti. Ma quella scelta ha fatto troppo rumore: le bare sono rimaste, l’opinione pubblica chiede conto di un’assoluta mancanza di empatia.

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