Elly Schlein-Giorgia Meloni. Così va in scena il duello tra le 2 donne più potenti

di Fabrizio Roncone

Una diversità marcata anche dai gesti (e dalla voce)

Elly Schlein-Giorgia Meloni. Così va in scena il duello tra le 2 donne più potenti

L’incarico: raccontare ogni dettaglio di questo primo incontro tra Giorgia ed Elly . Toni della voce e occhiate, postura, sospiri, mani. Ecco: le mani. Sono due leader che gesticolano molto. Graditi anche particolari minori: tipo come sono vestite (quassù, nella tribunetta stampa di Montecitorio, evocato subito il fantasma di Giampaolo Pansa, principe dei cronisti, che infatti veniva con un binocolo).

Partiamo.

La premier: in tailleur nero (o di un blu talmente scuro da apparire nerastro). La segretaria del Pd: con giacca rosa pallido e camicia fantasia. E, già qui, gente brava tirerebbe giù ottanta righe. Ma adesso Elly è in piedi e, subito, attacca Giorgia sulla necessità di introdurre il salario minimo. La chiama: «Signora presidente…» (è noto che la Meloni chiede invece di essere definita «il premier», o «il presidente»). Elly: voce meno spezzata del solito (sensazione: con un po’ di rodaggio può migliorare ancora), argomenti lunari per i dem degli ultimi anni («Sotto una certa soglia, non si può chiamare lavoro: ma sfruttamento!»), dito indice puntato verso Giorgia.

Strategia evidente: sono venuta qui per te, parlo con te, guardami mentre parlo con te. Ora: se un po’ conoscete la Meloni, provate a immaginare anche la faccia che mette su. Una roba che, più o meno, dice: tranquilla cara, sto qui, adesso ti rispondo.

Difficile dire se lo viva come un duello: di certo questa segretaria di 37 anni – determinata, libera, di puro fascino – Giorgia l’ha vista arrivare fin troppo bene; e sa certamente valutarne la travolgente freschezza (poi, tra qualche mese, vedremo se alla tramontana di novità, avrà saputo aggiungere anche solidità politica).

Comunque: il giochino del question time prevede, per la premier, una sola risposta (mentre Elly avrà diritto alla controreplica). Ma tanto Giorgia sa tutto, ha visto tutto. Si porta addosso un mestiere pazzesco: è entrata qui dentro a soli 29 anni, divenne subito vice-presidente della Camera, poi un pomeriggio si presentò dal Cavaliere (ai tempi in cui le luci di Palazzo Grazioli restavano accese – diciamo così – tutta la notte) e gli spiegò: «Sono a disagio, me ne vado». «Cosa ti serve?», replicò il Cavaliere, pensando che chiunque abbia un prezzo. «Non ha capito: fondo un partito tutto mio».

Insomma: pensare che la Meloni possa essere anche solo preoccupata di rispondere alla Schlein, è un po’ troppo. Però sa che la politica è una lunga partita quotidiana. E che, oggi, adesso, ha appena una manciata di minuti a disposizione per la replica. E così: snobba la sua avversaria, definendola «gli interroganti». Poi, prima picchia duro sulle opposizioni («Chi ha governato finora ha reso più poveri gli italiani»), quindi propone l’estensione della contrattazione collettiva.

Con i deputati che l’hanno incalzata poco fa, è stata pacata, con botte di sarcasmo. Ora la voce gli va su. Scandisce le parole. Quanti comizi avrà fatto in vita sua? È una richiesta precisa: dai banchi della maggioranza, puntuale, rotola una standing ovation.

Calma. Sentiamoci Elly (che l’ha ascoltata tamburellando le dita della mano destra). Sensazione confermata: impara in fretta. «Signora presidente, le sue risposte non ci soddisfano!».

La premier ascolta con una vaga aria di sufficienza, il mento appoggiato sulla mano, mezza parola a Matteo Salvini, che le siede accanto, e che annuisce (è sempre emozionante vedere Salvini annuire alla Meloni: un po’ meno vedere il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, bello pacioso, mentre Napoli è in fiamme).

Elly prende forza: «Le ricordo che ora sono io all’opposizione, e lei al governo…». Aspettate. Elly dice — esattamente — così: «O-ra-so-no-io-all-oppo-si-zio-ne».

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