Banche, tsunami Ue e Italia a rischio

Sta per arrivare uno tsunami europeo sull’industria italiana della consulenza finanziaria e del risparmio gestito, proprio quell’industria che negli ultimi giorni, da Azimut a Fideuram Intesa Sanpaolo, fino a Banca Mediolanum l’altroieri e ieri Banca Generali ha visto ottimi numeri dei bilanci 2022? Il “D-day”, se verrà confermato, sarà il prossimo 5 aprile quando la Commissione Europea presenterà la “Retail Investment Strategy” nella quale sarà affrontata la questione delle commissioni di “retrocessione” o “inducement” riconosciute nella vendita e distribuzione dei prodotti e servizi d’investimento. Sono quella parte di remunerazione che riceve dal cliente la banca che gli vende un prodotto (il classico fondo comune, ad esempio) e che poi la stessa “retrocede”, cioè “gira” alla struttura distributiva, appunto le reti dei consulenti finanziari.

La Commissione vorrebbe di fatto abolire le retrocessioni, uniformando le modalità di remunerazione della distribuzione dei prodotti finanziari e dell’attività di consulenza in tutti i paesi della stessa comunità europea. Si tratta di commissioni che nel nostro Paese valgono circa 7 miliardi di euro e che rappresentano una buona fetta dei ricavi degli utili delle banche-reti di consulenti finanziari. In Italia prevale questo meccanismo di remunerazione perché nel paese sono in minoranza i consulenti indipendenti i quali, invece, si fanno pagare con parcella direttamente dal cliente, come quando si va dall’avvocato, dal commercialista o dal medico.

La Commissione trae ispirazione dal modello britannico quando intorno al 2010 la Gran Bretagna vietò le retrocessioni di commissioni per i distributori. Il risultato fu che il mercato del risparmio si polarizzò: da una parte la clientela benestante o superbenestante che ha ricevuto un servizio totalmente indipendente pagato a parcella; dall’altra i clienti piccoli, che si sono riversati sulle piattaforme di trading, senza più consulenza personale.

A metà strada sono rimasti quelli i risparmiatori “orfani” che pur dotati di una buona dotazione di patrimonio non avevano più un servizio perché per gli intermediari finanziari era antieconomico offrirlo, e non avevano neanche consulenti a cui rivolgersi, perché il loro numero si era drasticamente ridotto. E per costoro è forte la tentazione degli investimenti fai-da-te, da sempre rischiosissimi. L’attuale configurazione della distribuzione dei servizi e strumenti finanziari dell’industria italiana si pone su posizioni decisamente contrarie alle proposte della Commissione e qualora dovesse passare la norma della abolizione delle commissioni si creerebbero le condizioni per una destabilizzazione di tutto il sistema.

In modo particolare dovranno essere riviste le politiche gestionali ed elaborare nuove strategie di vendita; dovranno essere modificati tutto il quadro dei rapporti dei consulenti con le società prodotto e Sgr, rivisti gli assetti organizzativi che riguardano le società di distribuzione e collocamento, nonché i modelli dei contratti applicati alle figure professionali quali i consulenti, agenti, mandatari e subordinati. Tutta l’industria della distribuzione ne sarebbe fortemente penalizzata e quindi costretta a rivedere strutturalmente il proprio business e strategie con costi rilevanti.

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