Il comandante del Ros Angelosanto: «Le liste dei malati e i telefonini spenti: così siamo arrivati a Messina Denaro»

di Fiorenza Sarzanini

L’intervista a Pasquale Angelosanto: la vera indagine inizia ora

intervista

«Chi pensa a trattative segrete o addirittura a una consegna concordata umilia gli investigatori e i magistrati che per anni hanno lavorato giorno e notte per catturare Matteo Messina Denaro». Il generale dei carabinieri Pasquale Angelosanto, il comandante del Ros che lunedì con i suoi uomini ha arrestato il boss della mafia ricercato da trent’anni, non appare affatto colpito dai sospetti che hanno segnato l’operazione di Palermo. Ma ci tiene a essere chiaro: «Sono pronto a ripetere ovunque, anche in un’aula di giustizia, quello che sto dicendo. Lo devo ai miei uomini e tutti lo dobbiamo alle vittime delle cosche». 

Ammetterà che è sorprendente scoprire che Matteo Messina Denaro viveva a pochi chilometri dal paese dove è nato, si curava a Palermo e faceva una vita normale. 
«Non è un caso se il procuratore Maurizio De Lucia ha parlato di “borghesia mafiosa”. La rete che lo ha protetto è molto stretta. E non dimentichiamoci che svariate volte, in tutti questi anni, siamo stati vicinissimi alla cattura e poi siamo stati beffati o traditi».

 Si riferisce a uomini delle istituzioni? 
«La storia è segnata da politici, appartenenti alle forze dell’ordine, funzionari dello Stato arrestati o indagati per aver avvisato il boss che il cerchio si stava stringendo». 

E invece questa volta quando avete capito che il cerchio si era davvero stretto?
«Venerdì scorso, il 13 gennaio, quando il signor Andrea Bonafede ha confermato una particolare terapia presso la clinica la Maddalena. Ma la certezza io l’ho avuta soltanto quando il colonnello Arcidiacono mi ha telefonato e mi ha detto: “L’abbiamo preso, ha ammesso di essere lui”».

 Quanto tempo fa avevate imboccato questa pista? 
«Qualche mese fa. Grazie a indagini e intercettazioni sapevamo di quali patologie soffriva Messina Denaro e abbiamo fatto partire le verifiche. Ci eravamo insospettiti perché in determinati momenti i suoi familiari avevano comportamenti anomali. All’improvviso annullavano impegni già presi, spegnevano i telefoni, diventavano irrintracciabili e dunque abbiamo pensato che questo potesse accadere in occasione di interventi chirurgici o comunque di cure mediche particolari. A quel punto ci siamo concentrati sui database sanitari e siamo andati su obiettivi mirati». 

Che vuol dire? 
«Abbiamo cercato nelle province di Agrigento, Palermo e Trapani la lista di chi aveva oltre 55 anni e si stesse curando, anche con l’acquisto di farmaci specifici, per queste patologie. Abbiamo incrociato i dati e ottenuto una lista di circa 150 codici. Ci tengo a dire che non è mai stata violata la privacy dei cittadini perché abbiamo lavorato su codici, non su nominativi. Soltanto quando la cerchia si è molto ristretta abbiamo avviato le verifiche personali. E agli inizi di dicembre siamo arrivati a Bonafede. Il 29 dicembre ha prenotato una visita per il 16 gennaio. Ci siamo preparati per intervenire. Il soggetto corrispondeva anche perché appartenente a una famiglia mafiosa vicina al padre di Matteo Messina Denaro, ma c’era un’anomalia evidente».
 

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