Fondo salva Stati: un’idea sul debito europeo

di Francesco Giavazzi

Un’istituzione creata per emettere debito europeo comune col quale assistere Paesi dell’Unione che si trovino in difficoltà. Le modifiche proposte sono già state approvate da 18 Stati su 19 membri: manca solo l’Italia

Il Parlamento deve decidere se approvare le modifiche al trattato che dieci anni fa istituì il Meccanismo europeo di stabilità, il cosiddetto «Fondo salva Stati», un’istituzione creata per emettere debito europeo comune col quale assistere Paesi dell’Unione che si trovino in difficoltà. Le modifiche proposte sono già state approvate da 18 Stati su 19 membri: manca solo l’Italia.

Finora il fondo è stato utilizzato raramente e solo ai suoi inizi, per aiutare Spagna, Grecia e Portogallo. Da allora i governi sono sempre stati riluttanti a farvi ricorso. Non solo perché per accedere a questo finanziamento un Paese deve accettare «condizionalità», cioè un controllo esterno sui propri conti pubblici, ma soprattutto perché chiedere aiuto al Fondo significa ammettere che quel Paese non riesce più a finanziarsi sul mercato: un segnale di debolezza che potrebbe scatenare la speculazione.

Il nuovo trattato fa un piccolo passo avanti consentendo di usare le risorse del Fondo per arginare una crisi bancaria: è un passo verso l’unione bancaria europea, ma non risolutivo. Un fondo come questo, con risorse ampie ma non illimitate, non può arginare una crisi bancaria. Per fermarla è necessario che lo Stato, o un suo fondo, siano disposti a impiegare risorse illimitate (whatever it takes). Se le risorse sono limitate sarà la speculazione ad avere la meglio. In conclusione, questa riforma del Fondo è un piccolo avanzamento nella giusta direzione, ma è probabile che i governi continueranno a non usarlo.

Nella conferenza stampa di fine anno Giorgia Meloni non si è detta contraria alla ratifica — che peraltro spetta al Parlamento, non al Governo —, ma dubbiosa sulla sua utilità. «Piuttosto che ratificare una riforma che in ogni caso, temo, manterrà quelle risorse bloccate, vorrei lavorare su qualcosa di diverso, che possa essere vagamente utilizzabile dai Paesi che ne fanno parte. Quindi con condizionalità diverse e minori. E magari anche con obiettivi un po’ più centrati rispetto alle attuali priorità».

Ha certamente ragione, ma chiedere minore condizionalità è una strada pericolosa che ci porterebbe ad uno scontro con i Paesi del rigore, dal quale usciremmo perdenti. Anziché arrivare per ultimi e approvare le modifiche del trattato dicendo che però non servono a nulla, il governo italiano potrebbe intraprendere un’altra strada. Nel momento in cui il Parlamento ratifica il trattato, dovrebbe mettersi al centro della discussione europea facendo una proposta che risolverebbe un problema oggi centrale nell’unione monetaria.

Non è un’idea nuova: fu scritta un anno fa in un documento italo-francese (scritto da Charles Weymuller, consigliere economico dell’Eliseo, Veronica Guerrieri, Guido Lorenzoni, Leonardo D’amico ed io) e illustrato da Draghi e Macron in un articolo sulFinancial Timesdel 24 dicembre 2022.

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