Cina, Xi Jinping come Mao: i pieni poteri e gli errori che condizionano il mondo

di Milena Gabanelli e Danilo Taino

Nei decenni scorsi, si era affermata l’idea che i politici e i burocrati cinesi fossero straordinariamente bravi. Se l’economia andava male, la rimettevano in carreggiata; se c’erano proteste popolari – e ce n’erano a migliaia ogni anno – le risolvevano con bastone e carota; se servivano case per l’urbanizzazione, le costruivano; gli ospedali per affrontare la pandemia sorgevano in una settimana. E nel mondo Pechino si presentava come una potenza responsabile e un centro di stabilità. Oggi è cambiato tutto.

Nessun limite di mandato

Il 16 ottobre, si aprirà a Pechino il XX Congresso del Pcc, il più rilevante da 40 anni. Durante l’assise, 2.300 delegati dovranno discutere e decidere molte cose ma, soprattutto, se il compagno Xi potrà rimanere leader del Partito per il terzo mandato quinquennale consecutivo. Sarebbe la prima volta dalla fine degli anni 70 che il segretario può continuare a guidare il Partito, e automaticamente lo Stato, dopo un decennio al comando. Fino al 2018, la Costituzione cinese lo vietava: due mandati, non uno di più. Ma quell’anno Xi l’ha fatta emendare e ora non ci sono più limiti costituzionali, quindi potrebbe rimanere al potere a vita. In teoria. In pratica, ogni cinque anni Xi deve convincere l’establishment comunista a riconfermargli il mandato. Le probabilità che venga rinominato sono quasi una certezza.

Epurati tutti gli avversari

Nei dieci anni di leadership – segretario del Partito, presidente della Repubblica Popolare Cinese, capo dell’Esercito di Liberazione Popolare – Xi Jinping ha immensamente rafforzato il proprio potere personale. Attraverso migliaia di epurazioni condotte dietro la politica di lotta alla corruzione, ha eliminato gli avversari più temibili. Già prima di essere eletto, nel 2012, il suo rivale diretto, Bo Xilai, è stato arrestato accusato di corruzione e altri crimini, il che gli ha spianato la strada verso il potere. Subito dopo la nomina alla guida della Cina, Xi ha lanciato una serie di campagne di «pulizia» che hanno portato in prigione o all’espulsione dal Pcc migliaia di membri, in alcuni casi avversari per il potere, in altri funzionari di alto livello, in altri ancora semplici iscritti (il Partito ha circa 97 milioni di militanti). Un modo per assicurarsi, attraverso punizioni e promozioni, la lealtà a ogni livello della gerarchia. Nella sola prima metà di quest’anno, sono stati puniti 21 quadri di partito di livello ministeriale nelle province, e 1.237 a livello di distretto e di dipartimento. Punizioni intese a rafforzare la sua posizione in vista del Congresso. In settembre, il viceministro per la Sicurezza Sun Lijun è stato condannato a morte (pena sospesa) perché «sleale» a Xi. L’ex ministro della Giustizia Fu Zhenghua ha seguito la stessa sorte. E’ lo stesso Fu Zhenghua che nel 2014 ebbe un ruolo centrale nell’epurazione dell’ex ministro della Sicurezza Zhou Yongkang.

La gestione della pandemia

Nel preambolo della Costituzione è stato inserito il «Pensiero di Xi Jinping» (sul Socialismo con Caratteristiche Cinesi per una Nuova Era) al fianco del Pensiero di Mao Zedong.

Xi arriva dunque al Congresso con una concentrazione di potere nelle sue mani senza precedenti negli scorsi 40 anni. Sul piano dei risultati, però, arriva al Congresso con ben poco da mostrare, a partire dalla disastrosa gestione della pandemiaAll’inizio, fra dicembre 2019 e i primi giorni del 2020, ha cercato di spazzare sotto al tappeto il problema e ha fatto silenziare chi avvertiva del pericolo, ritardando la risposta da dare, in Cina e nel resto del mondo. Poi, con la politica dello zero Covid (cioè soppressione con ogni mezzo di qualsiasi focolaio) ha imposto lockdown che continuano tuttora anche quando si presentano pochi casi di coronavirus. In settembre, forme di restrizione hanno colpito decine di città – a cominciare da Chengdu, 21 milioni di abitanti – le quali, messe assieme, producono un terzo del Pil cinese. In estate, era stata messa in lockdown Shanghai a diverse riprese. Gli esperti gli hanno consigliato di abbandonare questa politica in quanto irrealizzabile, ma «l’imperatore» non può ammettere di aver sbagliato. Così, mentre il resto del mondo cerca una normalità, la Cina resta chiusa e l’economia rallenta.

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