Il governo tecnico di Giorgia Meloni. Il timore di Forza Italia e Lega: FdI vuole 8 tecnici al governo

FRANCESCO OLIVO

Giorgia Meloni sa di non poter sbagliare una mossa. La situazione internazionale è drammatica e l’unica maniera di affrontarla, specie per una figura percepita con qualche diffidenza all’estero, è presentare una squadra di qualità. Lo ha spiegato nei giorni scorsi agli alleati, i quali ne hanno dedotto una conclusione: «Giorgia vuole un governo di tecnici». Una lista vera e propria non è stata sottoposta durante i colloqui con i leader, ma nei partiti si fa una stima delle personalità “extraparlamentari” da portare dentro al governo: «È pronta a nominarne otto o persino dieci». In totale i ministri con portafoglio sono quindici e quindi, secondo queste previsioni, l’esecutivo che segna il ritorno della destra al potere sarebbe assai poco politico. E tra questi ministeri ci sarebbero anche quelli della Sanità e dell’Istruzione, posti molto ambiti da esponenti dei partiti della maggioranza. Il problema è, a quanto riferiscono fonti di FdI, che i nomi fatti finora dagli alleati non soddisfano gli standard di qualità che la grave situazione internazionale richiede. «Si tratterà di tecnici di area», hanno cercato di rassicurare i meloniani, cercando di raccogliere un’obiezione posta da Silvio Berlusconi in un’intervista a La Stampa, ma Forza Italia e Lega restano preoccupati di essere di fatto emarginati all’interno del proprio governo. Il grado di tensione è tale che tra gli azzurri è cominciata a circolare una battuta, «a questo punto ci potevano tenere il governo Draghi», sarcasmo misto a timore perché se Meloni si prendesse tutto, quella del 25 settembre diventerebbe per Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, una vittoria mutilata. Il leader della Lega ha convocato per domani un consiglio federale straordinario che all’ordine del giorno ha proprio «condividere e poi scegliere i nomi più adatti». Una mossa con la quale Salvini manda un segnale interno in una fase assai delicata della sua leadership: «Decidiamo insieme». Ma il vero destinatario del messaggio è Meloni: saremo noi a indicarti i nomi.

I leader a questo punto si sono già visti, un primo giro di opinioni che, al di là di un clima che tutti definiscono molto cordiale, presenta un ostacolo non insormontabile, ma serio. La trattativa si è incagliata: il “governo dei migliori” con una spolverata sovranista «non è quello che si era detto agli elettori», ragiona un leghista.

Meloni, dopo la prima uscita pubblica da premier in pectore sabato a Milano, si è presa un giorno lontana dal suo ufficio di Montecitorio, ma anche da casa sono proseguiti telefonate, colloqui e lo studio dei dossier. La questione energetica e la piega presa dal conflitto ucraino fanno «tremare i polsi», ma la premessa per cominciare ad affrontare direttamente questi problemi è poter formare una squadra di governo. E quindi convincere gli alleati a mettere da parte le pretese eccessive. Tra le poche dichiarazioni pubbliche della futura premier in questi giorni c’è questa: «Vi assicuro che stiamo lavorando a una squadra di livello che non vi deluderà». Parole che unite a quelle, meno enfatiche, ascoltate durante i colloqui con Salvini e Berlusconi, lanciano ombre sulla settimana che si apre. «Può accadere che ci siano personaggi con un’esperienza tale da essere nel governo, pur non essendo parlamentari, ma siano dei casi, non la regola», dice Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia.

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