La sinistra al bivio decisivo

L’altra strada, quella riformista, è assai più difficile. Fare l’opposizione responsabile è più complicato che fare l’opposizione urlata. Ma soprattutto obbligherebbe il Pd a fare i conti con il proprio passato. Dovrebbe chiedersi se andare d’accordo con Bruxelles sia sufficiente per meritarsi la patente di partito riformista. Dovrebbe chiedersi cosa c’entri con il riformismo limitarsi a garantire l’impiego pubblico (anziché gli utenti delle amministrazioni) o gli insegnanti (anziché, con una scuola di qualità, gli studenti). O difendere l’ordine giudiziario così come è (si veda il «no», altamente simbolico, al referendum sulla separazione delle funzioni fra giudici e procuratori). O continuare ad essere il partito delle tasse, il partito interessato solo a ridistribuire la ricchezza presente («colpire i ricchi»), anziché impegnarsi, in una Italia che non cresce economicamente da decenni, anche per favorire la ripartenza del Paese, per aumentarne la ricchezza complessiva. Insomma il Pd dovrebbe dolorosamente occuparsi del populismo di casa propria. Il premio sarebbe la creazione di una forza assai più dinamica della attuale, magari anche capace di vincere le prossime elezioni.

Operazione ardua. Tanto più perché la componente autenticamente riformista del partito — la parte che è rimasta, che non se ne è andata all’epoca della scissione di Renzi — è uscita indebolita da queste elezioni.

Naturalmente, il futuro, anche quello del Pd, non è già scritto. È proprio nelle fasi più drammatiche della vita delle organizzazioni che possono emergere leader capaci di smentire pronostici, bloccare la discesa lungo il piano inclinato, cambiare un destino che sembrava già scritto. Si pensi, ad esempio, al Midas, all’ascesa di Bettino Craxi nel 1976 al vertice di un Partito socialista che tanti osservatori giudicavano ormai finito. Di norma, le piccole oligarchie che hanno fatto il bello e il cattivo tempo in quelle organizzazioni e del cui declino sono in larga parte responsabili, fanno fuoco di sbarramento. Sanno o, quanto meno, intuiscono, che l’eventuale successo del leader segnerebbe la loro fine.

CORRIERE.IT

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