Le quattro strade di Draghi: ecco il futuro del premier dopo il voto

Ilario Lombardo

Che farà Mario Draghi? È la domanda conseguente a quella che tormenta tutti gli italiani: chi vincerà oggi riuscirà a diventare il prossimo presidente del Consiglio? Magari declinando questo ruolo per la prima volta al femminile? Qualche giorno fa una fonte molto vicina a Giorgia Meloni ha ricordato l’ottimo rapporto tra la presidente di Fratelli d’Italia e il premier uscente, aggiungendo che questa relazione, nel futuro a breve, potrebbe evitare a Draghi quegli ostacoli politici che complicherebbe al banchiere l’obiettivo – qualora lo volesse – di ottenere un incarico di livello internazionale. Quattro sono le ipotesi, discusse in casa FdI. Tre sono note: segretario della Nato, presidente della Commissione europea, presidente del Consiglio europeo. La quarta è una novità: mediatore tra Ucraina e Russia. La figura dell’inviato speciale sulla crisi ucraina è quella che qualche mese fa l’ex premier Matteo Renzi avrebbe volentieri affidato all’ex cancelliera Angela Merkel.

Meloni potrebbe rispolverare l’idea e proporre il ruolo a colui che sull’asse atlantico si è rivelato essere una delle più solide sponde della strategia americana. Nato, Commissione e Consiglio Ue sono invece nomine che si giocheranno alla scadenza dei mandati attuali tra 2023 e 2024. In tanti dentro FdI lo considerano quasi una sorta di un patto implicito tra i due. Sono certi che se Meloni andrà a Palazzo Chigi, Draghi le faciliterà il passaggio di consegne. Prova ne è, secondo loro, come in queste settimane di campagna elettorale non abbia alimentato i messaggi di preoccupazione arrivati dai partner europei. Ma anche il credito che le ha concesso sul comportamento assunto in aula al momento di discutere l’invio delle armi in Ucraina. Un confronto e una opposizione che agli occhi di Draghi è stata «leale e rispettosa» fino alla fine. Un riconoscimento che è reciproco. Meloni vive Draghi come una sorta di garante per il governo che verrà, e in questo senso è la prima a considerare cruciale la scelta del ministro dell’Economia: un nome come Fabio Panetta, membro attuale del comitato direttivo della Bce, metterebbe in sicurezza l’avvio dell’esecutivo in nome della continuità sulla gestione dei conti pubblici.

Nessuno, tra i leader, crede che il destino di Draghi sia di tornare alla tranquillità bucolica di Città della Pieve. Però tra tante dichiarazioni ci sono diversi sottintesi, qualcuno più esplicito, altri meno. L’altro ieri, a chiusura della campagna elettorale, Enrico Letta si è detto convinto che «Draghi ha ancora molto da dare alla politica», senza spingersi a dire in quali vesti. Un timore che non hanno Carlo Calenda e Matteo Renzi, che quasi quotidianamente hanno sventolato il nome dell’ex banchiere come alternativa a Meloni se il centrodestra non dovesse raggiungere una maggioranza autosufficiente. Il non detto, invece, è il Quirinale. Un sogno che il premier ha visto infrangersi qualche mese fa ma che la leader di FdI, a detta dei suoi, sarebbe prontissima a realizzare per lui nel nuovo Parlamento dimezzato se Sergio Mattarella, di sua iniziativa, dovesse scegliere di lasciare il Colle in anticipo, come fece il suo predecessore Giorgio Napolitano.

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