Quel processo ai combattenti Azov, una vendetta da Repubblica di Salò

Domenico Quirico

Nella lenta agonia di questa guerra ecco avanzare un’altra danza macabra. Niente che abbia a che fare con la strategia o la tattica. Semplicemente una mossa psicologica, propaganda cinica e volgare. Se non fosse che uomini rischiano la pena di morte non avrebbe neppure la densità o lo splendore del dramma, solo l’aria sudicia dell’impostura.

Nel teatro di Mariupol sono in corso lavori di bassa lega, si montano gabbie di ferro dove troveranno posto gli imputati, i falegnami allestiscono panche per il pubblico e scranni per i giudici. Perchè qui andrà in scena il processo pubblico imbandito dai secessionisti del Donbass ai “nazisti” dell’Azovstal, i combattenti ucraini che dopo un lungo assedio si sono arresi ai russi. Nelle foto le gabbie appaiono enormi come se dovessero ospitare non uomini ma lo zoo per esseri giganteschi e pericolosi di qualche razza perduta.

Inutile attendere i capi di accusa, le risultanze della istruttoria, l’elenco dei testimoni a carico. Parlar di codici, leggi internazionali e leggi nazionali (materia ancor più viscida in un repubblica che è riconosciuta solo dai russi che la tengono in piedi a furia di cannonate). Questo è un processo che assomiglia ai lugubri riti del castello di Verona, quando la Repubblica sociale mussoliniana saldò i conti con i traditori del Gran Consiglio e del 25 luglio. Qui siamo nel territorio oscuro e violento non del diritto ma della vendetta. Questo processo, che immagino della volontà di coloro che lo hanno organizzato vuole essere la risposta alla condanna a Kiev di un giovane soldato russo accusato di aver ucciso un civile, esattamente come l’altro sul piano assoluto della giustizia non ha fondamento. Appartiene a un altro territorio inaccettabile, ovvero quello dell’uso strumentale del diritto continuamente smentito per segnare linee di sangue nella storia e per proporre feroci catarsi collettive.

È fin troppo facile enumerare le ragioni per cui come nel caso dei frettolosi ucraini non può essere un processo regolare. La impossibilità visto che si svolge mentre la guerra infuria per gli accusati di citare liberamente testimoni a difesa. Nessuno avrebbe il coraggio di venire a portare prove a discarico degli accusati rischiando a sua volta vendette.

E poi il diritto alla difesa: impossibile per i soldati della Azovstal scegliere difensori che dovrebbero attraversare la linea del fronte per assistere al processo. Ci saranno come nel caso ucraino reticenti avvocati d’ufficio evidentemente di parte. Senza dimenticare il problema del clima in cui si svolgerà il processo che viene immaginato come una gigantesca operazione di propaganda: addirittura una Norimberga ucraina che dovrebbe portare elementi a sostegno della tesi russa secondo cui i difensori della acciaieria e le milizie a cui appartengono sono nazisti impegnati nella pulizia etnica di tutto ciò che era russofilo nelle province dell’Est del Paese.

In una guerra come quella ucraina si concepisce un odio furioso, un odio che raggiunge proporzioni puniche ed è questo, se volete, a essere la sua unica grandezza. Un odio selvaggio per il nemico, una esecrazione endemica e disperata che affila i coltelli, avvelena il passato, aggredisce i civili e i combattenti per poi ammucchiarli ai bordi di tutti i sentieri della ragione e della storia umana.

Si somministrano da una parte e dall’altra terribili veleni. Si giudicano dunque in base a questo odio anche gli eroi ambigui e sfruttati dell’Azovstal. La propaganda ha bisogno di un nuovo spettacolo tragico e lo reclama con possente e unanime clamore. La condanna scontata, lo sanno gli stessi organizzatori, sarà ben poca cosa e non cambierà il corso della guerra. In fondo tutte le possibilità propagandistiche di quel gruppo di soldati maceri e stracciati sono già state efficacemente raschiate nelle sequenze della resa, della spogliazione, della esibizione dei tatuaggi.

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