Quelli che tifano per Putin in Italia

di Angelo Panebianco

Forse solo i 5 Stelle assumeranno una posizione chiara pro-Putin, soprattutto se avrà un ruolo di rilievo Alessandro Di Battista. Altri prenderanno posizioni meno esplicite, ma altrettanto preoccupanti

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Vladimir Putin (Epa)

Nella campagna elettorale italiana c’è un convitato di pietra, Vladimir Putin. Sicuramente grato a coloro che hanno tolto di mezzo quello che considerava un suo inflessibile nemico (Draghi), il quale, per giunta, in virtù del proprio prestigio personale, era molto influente nello schieramento occidentale. Putin, presumibilmente, si aspetta dalle elezioni italiane l’uno o l’altro di due esiti. O un’Italia resa instabile dal voto o la vittoria di uno schieramento nel quale abbiano peso e responsabilità partiti che gli sono amici o, comunque, non ostili. Entrambi gli esiti farebbero comodo alla Russia.

In condizioni completamente mutate stiamo per assistere (anzi, per partecipare) a una nuova edizione delle elezioni del 18 aprile 1948. Anche oggi, come allora, l’Italia è chiamata a fare una scelta di campo. Ma con la fondamentale differenza che allora il campo occidentale era dotato di una fortissima leadership in grado di dare compattezza al suo sistema di alleanze nel confronto con l’Unione Sovietica mentre oggi il campo è pieno di buche, malmesso, diviso. Per le ragioni che ha indicato Federico Rampini ( Corriere del 24 luglio).

L’ormai debolissimo Biden si avvia a diventare, dopo che, nelle elezioni di metà mandato, presumibilmente, avrà perso la maggioranza al Congresso, una «anatra zoppa». Molti ipotizzano che Putin stia aspettando proprio quel momento per trattare con gli occidentali, da una posizione di forza, il futuro dell’Ucraina. Macron non ha la maggioranza in un Parlamento pieno zeppo, a destra come a sinistra, di amici di Putin. Non è per caso che la putiniana Marine Le Pen si sia complimentata con i suoi sodali italiani per avere fatto cadere Draghi. La Germania è guidata da un debole cancelliere che non sa a che santo votarsi e, più in generale, da una classe dirigente che non ha ancora deciso che cosa il proprio Paese debba fare da grande. Una Germania debole significa, in prospettiva, una Unione europea tendenzialmente allo sbando. Per inciso, è inutile continuare ad invocare, in questa fase, un’Unione politicamente forte, un esercito europeo, e tutti i soliti argomenti del repertorio «europeisticamente corretto». Nulla di tutto ciò ci sarà mai se prima l’Europa non avrà affrontato e risolto i suoi problemi di leadership. Per ora, e per il futuro prevedibile, ciò non sembra possibile. Anzi, bisogna dire che, date le difficili condizioni in cui opera, l’Unione stia facendo del suo meglio per proteggere i suoi affiliati dalle turbolenze in atto. Alle suddette difficoltà dell’Occidente possiamo anche aggiungere la presenza di una quinta colonna di Putin entro l’Unione europea (Orbán) e di una Turchia che resta nella Nato solo perché si tratta di una carta, fra le molte che usa, che le fa comodo ai fini della sua autonoma politica di potenza. Anche se e quando tale politica entra in conflitto con gli interessi occidentali.

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