Morto Raffaele La Capria, lo scrittore che aveva Napoli nell’anima

Scorre nelle pagine di Ferito a morte il fascino della natura «disabitata dall’uomo», cioè il fondo marino dove il protagonista pratica la pesca subacquea, ma anche il dolore sordo e lancinante della delusione amorosa, l’Occasione Mancata di Massimo con Carla Boursier. E poi la spensieratezza irresponsabile di un gruppo di ragazzi e la fatalistica sonnolenza di una certa borghesia partenopea, dipinta senza sconti. Su tutto dominano, come scrisse il critico Geno Pampaloni «la straziante dolcezza di ciò che è irrecuperabile» e «il perdere di senso della vita come un velivolo che perde inesorabilmente quota».

Erano passati molti anni prima che La Capria scrivesse un altro romanzo, Amore e psiche (Bompiani, 1973), che lui stesso giudicò poi un esperimento fallito per «eccesso di intellettualismo». L’intento era usare le tecniche della psicoanalisi per evocare indirettamente dal punto di vista del protagonista una vicenda che quel personaggio stesso rimuove perché troppo dolorosa.

Da allora non erano più usciti romanzi firmati da La Capria, ma molti libri d’altro genere, spesso ibridi: i testi autobiografici di False partenze (Bompiani, 1974) e La neve del Vesuvio (Mondadori, 1988), i brevissimi racconti di Fiori giapponesi (Bompiani, 1979), gli elogi della misura contenuti dei saggi La mosca nella bottiglia (Rizzoli, 1996) e Lo stile dell’anatra (Mondadori, 2001). Quasi tutti, come ha scritto Silvio Perrella, si possono considerare nati «da una costola di Ferito a morte».

Sarebbe però un grave errore considerare La Capria un autore ripiegato sulla terra d’origine. Sin da giovane aveva dato alla sua ricerca letteraria un respiro internazionale. Appassionato ammiratore di George Orwell, durante la guerra aveva stretto un’amicizia affettuosa con l’americano Bill Weaver, futuro traduttore in inglese di molti scrittori italiani, e ad Harvard negli anni Cinquanta aveva conosciuto Henry Kissinger.

Sposato prima con Fiore Pucci, poi con l’attrice Ilaria Occhini, La Capria aveva avuto dalla prima moglie la figlia Roberta e dalla seconda Alexandra. Era stato un animatore costante della vita culturale, sulle pagine del «Corriere» e non solo. Nel 2001 si era aggiudicato il premio Campiello alla carriera e non aveva mai smesso di intervenire, finché le forze lo avevano sorretto. Non gli piaceva la televisione, detestava i talk show urlati, ma ad ottant’anni aveva cominciato a usare il computer, nel quale aveva trovato «un alleato perfetto». Restava sempre curioso del mondo e della vita: «Dobbiamo accostarci con meraviglia alle cose. Come se fosse sempre la prima volta».

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