Zelensky vince la guerra delle emozioni, ma per l’Occidente è un boomerang

L’unico modo per evitare che le potenze democratiche, badando ai loro interessi immediati, si limitassero all’elemosina, come nel 2014, di qualche minuscola, innocua sanzione contro la Russia, era di brandire la disgrazia ucraina per vedersi attribuire il titolo di vittima numero uno. Costringendoci a un atto pratico di costrizione ovvero fare la guerra con lui e se necessario per lui. Fino in fondo. Ci ha intimato fin dal primo giorno, indifferente al mutare della situazione militare, alle ritirate e avanzate, alle stragi e ai modesti tentativi diplomatici: se la Ucraina verrà spazzata via e non uscirà vittoriosa da questa guerra la colpa sarà degli europei e degli Stati Uniti, troppo fragili, vigliacchi e ottusi da non capire che il vero boccone che Putin vuole inghiottire non è Kiev ma il vecchio continente e forse il mondo. Che, dopo aver calpestato sotto i piedi mezza Ucraina, si prepara a calpestarne l’altra metà dell’Europa. Una idea che non ha connessioni con la realtà. Non perché Putin possa aver rimorsi o titubanze di fronte all’abuso della forza. Ma perché, sapendo benissimo di essere una personalità dispotica e crudele, è anche un realista. Quindi conosce i limiti pratici alla sua aspirazione di giustiziere, di esecutore delle sentenze della Storia.

Eppure nessuno, in questo parossismo delle emozioni innescato dall’abile mefistofele ucraino, osa dirlo. Temendo di esser travolto dalla riprovazione universale.

Zelensky ha distribuito le parti di un remake. Scegliendo di riproporre un copione che l’Europa purtroppo conosce bene e di cui ha un ricordo orribile, la Seconda guerra mondiale.

L’Ucraina aggredita, martoriata, sbriciolata è dunque Londra indomita sotto le bombe tedesche nel 1940. Zelensky ostinato, deciso a non arrendersi mai alla brutalità totalitaria, si è preso la parte di Churchill. A Putin naturalmente tocca la maschera del nuovo Hitler. A Biden ha riservato il costume di Roosevelt che pazientemente, giorno dopo giorno, convince i distratti americani che per loro è vitale distruggere il tiranno. E intanto arma gli ucraini con una replica della celebre legge affitti e prestiti con cui venne tenuta in piedi la Gran Bretagna. E dal 1941 l’Unione sovietica di Stalin.

Operazione perfetta. La volontà di evitare l’ennesima infamia dell’Occidente capitolardo è diventata una verità unica e giusta, immutabile nel divenire della crisi e della guerra quanto la legge della caduta dei gravi. Intellettuali e politici, militanti della guerra giusta ed economisti dalla sanzione facile e indolore, si sono messi al servizio di Zelensky.

Il meccanismo delle passioni innescato dall’attore-presidente è in se stesso infernale. Più aumenta il livello del nostro aiuto più crescono le sue ambizioni, più la guerra si prolunga più si allargano i contorni di una vittoria per lui accettabile. L’applauso come accade agli attori lo spinge all’assolutismo del mattatore. Intanto l’Occidente, lavando preventivamente le sue colpe, non si accorge che la guerra diventa mondiale ed è via via più isolato. Quattro miliardi di persone e metà della produzione globale hanno infatti rifiutato di schierarsi con noi.

Gli zelanti alleati di Zelensky fino a ieri hanno coabitato allegramente con l’indifferenza e il silenzio per malvagità abominevoli subite da popolazioni dei Paesi cosiddetti sottosviluppati. La disgrazia di quegli infelici è che non hanno saputo far cuocere insieme gli ingredienti delle nostre emozioni. E infatti con soddisfazione un po’ proterva Zelensky ha festeggiato il sì della Unione alla candidatura ucraina ricordando: noi non siamo un Paese del terzo mondo.

LA STAMPA

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