Ucraina, la Costituzione e il diritto alla difesa

Se la principale organizzazione internazionale, di cui l’Italia fa parte, consente l’autotutela anche collettiva e addirittura impone una responsabilità di proteggere popolazioni offese da crimini contro l’umanità, c’è ancora da chiedersi se la cessione di armi comporti la partecipazione alla guerra di difesa dell’Ucraina, e trasformi l’Italia in cobelligerante.

Trenta Stati di varie parti del mondo stanno fornendo armi agli ucraini. La cessione di mezzi materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina fino al dicembre 2022 è stata consentita dal Parlamento italiano con la legge numero 28 del 5 aprile 2022, ma già il 1 marzo Camera e Senato avevano approvato una risoluzione riguardante la cessione di armi. Sulla base dell’articolo 51 della Carta dell’Onu, il Consiglio dell’Unione europea, con la «Posizione comune» 944 dell’8 dicembre 2008, aveva riconosciuto che gli Stati membri dell’Unione hanno il diritto di trasferire strumenti di difesa ad altri Stati. A sua volta, l’Unione europea, consapevole che l’articolo 41 del Trattato sull’Unione europea proibisce l’uso di fondi per operazioni militari, ha costituito fin dal 22 marzo 2021 un «European Peace Facility» per la politica di sicurezza e difesa comune, previsto per interventi nel Sahel e in Mozambico e già utilizzato per quelli in Georgia, Moldavia e Mali. Con i mezzi di questo fondo, raddoppiati il 23 marzo scorso, l’Unione ha fornito a sua volta assistenza militare diretta all’Ucraina.

Che la cessione di armi non faccia diventare cobelligeranti è dimostrato, infine, dai precedenti dell’assistenza russa ai Vietnamiti tra il 1955 e il 1975 e da quella americana agli israeliani per la guerra del Kippur nel 1973: né gli americani nel primo caso, né egiziani e siriani nel secondo accusarono, rispettivamente, Unione sovietica e Stati Uniti di essere cobelligeranti.

In conclusione, diritto nazionale, diritto europeo e diritto internazionale consentono la cessione di armi a scopi di difesa, in presenza di violazioni tanto gravi del diritto internazionale come quelle commesse dalla Federazione russa a danno dell’Ucraina.

Dalla vicenda dell’aggressione russa dell’Ucraina possono trarsi molte lezioni. La cessione di armi ad altro Stato, che si difende e rifiuta che la guerra sia uno strumento di risoluzione di controversie internazionale, è legittima per il diritto internazionale, per quello europeo e per quello costituzionale italiano: se la Federazione russa sostenesse il contrario, affermando che i trenta Stati che inviano armamenti all’Ucraina sono cobelligeranti, sarebbe, oltre tutto il resto, in contraddizione con se stessa, visto che rifiuta di chiamare guerra la sua «operazione militare speciale».

Questa ennesima manifestazione di nazionalismo aggressivo è una sconfitta del sovranismo, che deve pagare il costo imposto non solo dalle sanzioni (è più corretto definirle contromisure o ritorsioni, come vengono chiamate nel diritto del commercio internazionale), ma anche da una rete di altre misure previste da accordi internazionali, quasi tutti firmati e violati dalla Federazione russa. Chi sostiene che intrappolare l’orso russo lo rende più pericoloso disconosce alcuni secoli di progresso del diritto internazionale.

La Russia sta commettendo le più gravi violazioni del diritto umanitario non solo a danno degli ucraini aggrediti, ma anche dei suoi stessi soldati, allo stesso modo del generale Žukov che, durante la seconda guerra mondiale, faceva avanzare la sua fanteria nei campi minati per farvi poi passare i carri (quando lo disse al generale Eisenhower, suscitò il suo orrore).

Il ventennio putiniano (due mandati come primo ministro, quattro come presidente della Federazione) non ha solo rovesciato il processo di democratizzazione e liberalizzazione postsovietico, ma ha anche suscitato la reazione della comunità internazionale: la Nato ha raddoppiato il numero degli Stati membri nello stesso periodo, ed altri Stati bussano alla sua porta. È ora che il rispetto del diritto internazionale ritorni nelle mani delle corti, che possono giudicare in modo indipendente, ed hanno già cominciato a valutare le violazioni della Convenzione del 1948 sul genocidio e del trattato di Roma, che ha istituito la Corte penale internazionale.

Termino con le parole pronunciate dal filosofo Karl Popper in una conferenza del 17 dicembre 1993: «La pace è necessaria. Per essa bisognerà ancora a lungo lottare e difenderla. Dobbiamo rassegnarci a questa lotta e a questa difesa. E anche al fatto che noi e le Nazioni Unite faremo degli errori. Ma l’ottimismo è dovere».

CORRIERE.IT

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