Crisi del grano: come Putin sta forzando l’immigrazione dall’Africa verso l’Europa

La (…) missione navale Ue per scortare i carichi di grano ucraini, se mai ci fosse, avrebbe bisogno del placet di Ankara (…)

Le vie alternative: impraticabili

Ricapitolando: il grano ucraino è fermo. Prima della guerra, l’Ucraina utilizzava per il 95% delle esportazioni i porti di Mariupol, Berdiansk, Kherson e Odessa. Impossibile usare altre vie: i quattro porti fluviali sono vecchi e piccoli, non possono esportare più di 300 mila tonnellate al mese; sulle tredici autostrade che portano in Polonia, Slovacchia, Ungheria, Moldova e Romania, possono marciare non più di 20 mila tonnellate al giorno, con alti costi di carburante e dogane; i treni sono impraticabili, perché i binari ucraini hanno un sistema di scartamento diverso da quelli europei.

Il blocco dei cereali ucraini apre la porta a nuovi acquirenti di grano russo fuori dall’Europa

Il grano russo viaggia più di prima

Il blocco dei cereali ucraini apre la porta a nuovi acquirenti di grano russo fuori dall’Europa. Lo scorso marzo, a guerra già iniziata, la Russia ha incrementato del 60% le esportazioni di grano secondo ProZerno, la «borsa» agricola russa: 1,7 milioni di tonnellate, contro l’1,1 milione di tonnellate del marzo 2021. Gli ultimi dati ufficiali disponibili, successivi all’inizio della guerra, riguardano la prima metà di aprile. Nonostante le sanzioni e nonostante la crescita del costo di trasporto, circa 900 mila tonnellate di grano sono state caricate nei porti russi, in linea con i dati di marzo (fonte AgFlow). I maggiori acquirenti rimangono la Turchia (602 mila tonnellate solo nelle prime due settimane di aprile) e l’Egitto (231): insieme coprono quasi il 50% del totale dell’export russo. Dal rapporto del «Russian grain Union», nell’ultima settimana di maggio verso l’Africa stanno andando maggiori quantitativi: l’Egitto ha importato un po’ di più (62.000 t), la Libia è tornata fra gli acquirenti (60.000 t) e in Nigeria spedite 40.000 tonnellate. Anche il prezzo di vendita ha avuto una leggera flessione: 399 dollari a tonnellata, la settimana prima il prezzo era di 410 dollari a tonnellata, circa il 3% in meno (Fonte FOB).

Il grano rubato a Kiev

Mosca si sta appropriando anche del grano ucraino: secondo Kiev tra le 400 e le 600 mila tonnellate sono state «rubate dai silos» e portate via mare dal porto di Sebastopoli prima in Egitto (che però ha rifiutato il carico) e poi in Siria. Un altro quantitativo da 1,4 milioni di tonnellate è stato tolto dal mercato ucraino per essere portato in Russia, via Rostov. I satelliti di Planet Labs hanno fotografato due navi russe (la Matros Pozynich e la Matros Koshka) nella zona di carico del porto di Mariupol, mentre imbarcavano il grano da un silos. Trenta camion con rimorchi sono stati visti sull’autostrada di Melitopol. SovEcon, istituto che monitora i transiti di grano sul Mar Nero, conferma che la Russia ha aumentato queste esportazioni soprattutto verso il Medio Oriente e l’Africa (Turchia, Egitto, Iran e Libia), rimpiazzando le esportazioni ucraine bloccate nei porti.

I prezzi e la geopolitica della fame

Qual è l’effetto reale sui prezzi? Questa è la domanda chiave per comprendere l’affermazione della Fao secondo cui, anche a causa della guerra, le persone nel mondo che rischiano di soffrire la fame saliranno a 440 milioni. L’impatto sui prezzi è innegabile: il grano tenero è salito del 4,8% dall’inizio della guerra, ma del 57% negli ultimi 12 mesi. Ad incidere sono soprattutto i costi di trasporto (aumentati già per effetto del Covid). In più quelli sul Mar Nero sono saliti dal 50 all’80% perché le navi che non battono bandiera russa non vogliono attraccare nei porti russi, sia per evitare noie internazionali, sia per la crescita dei costi assicurativi. Paesi come la Tunisia importavano il 50% del proprio fabbisogno di grano esclusivamente da Russia e Ucraina. Per il momento la Tunisia sostiene di avere scorte per tre mesi. Ma per evitare rivolte del cibo via Twitter, come accadde nelle Primavere arabe, i prodotti di base – dalla pasta alla semola – sono sovvenzionati e calmierati dal governo: il prezzo della baguette, da 10 anni, è bloccato a circa 6 centesimi di euro, indipendentemente dal costo delle materie prime. Anche l’Algeria, secondo consumatore africano dopo l’Egitto (10 milioni di tonnellate all’anno), ha imposto prezzi calmierati così come in Marocco. Si tratta di due Paesi che non importano grano tenero né dalla Russia, né dall’Ucraina, e pertanto non prevedono cali di materia prima (fonte: Ufficio algerino dei cereali). L’Egitto invece, per fronteggiare i rincari, ha dovuto indebitarsi per tre miliardi di dollari con l’Itfc, International Islamic Trade Finance Corporation, strumento di finanza islamica che sta in Arabia Saudita.

La leva dell’emigrazione

In tutto il Maghreb, i prezzi agricoli stavano già aumentando molto prima dell’invasione russa dell’Ucraina dice il ministro del Bilancio del Marocco, Fouzi Lekjaa, a causa di siccità, costi del carburante e carenza di concimi. Lo scenario drammatico in Africa non si è ancora verificato, ma presentarlo già come esploso rischia di innescare l’emigrazione di massa come è accaduto nel 2011.

Uno spostamento che si andrà ad aggiungere a quello ucraino e che l’Europa non sarà in grado di reggere. Lo scenario migliore per Putin, e forse parte della sua strategia: utilizzare la leva alimentare per destabilizzare. Ci aveva già provato ammassando migranti al confine con la Bielorussia. Gli era andata male. Di certo non ha nessuna pietà per quei 41 milioni di persone già sull’orlo della fame, che non contano niente perché non avendo i soldi per pagare lo scafista o il trafficante, non potranno mai spostarsi. A loro non manda nemmeno un chicco del suo raccolto. Sono le popolazioni dello Yemen, del Ciad, dell’Etiopia, dell’Afghanistan, del Bangladesh, assistite dal programma alimentare delle Nazioni Unite: il 45% del grano a loro destinato il World Food Program lo prendeva dall’Ucraina. dataroom@corriere.it

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