I prezzi, il lavoro: l’ansia che agita l’Europa

di Aldo Cazzullo

Siamo tutti — francesi, italiani, europei — seduti su una bomba sociale: i prezzi. Secondo i sondaggi, Emmanuel Macron domenica 24 aprile dovrebbe essere rieletto presidente. Ma già il fatto che ci sia un margine di incertezza, che la vittoria di Marine Le Pen sia molto improbabile ma non impossibile, rappresenta un’enormità. Perché se l’erede di un clan di estrema destra arriva a un passo dall’Eliseo, se il progetto di distruzione dell’Europa –— come riconosce lo stesso Macron nell’intervista alCorriere— convince quasi la metà dei francesi, allora significa non solo che populismo e sovranismo sono più vivi che mai, ma soprattutto che gli europei stanno male.

Gli europei faticano non soltanto a organizzare la propria vita, ma ad affrontare la quotidianità. Sono angosciati dal futuro: anche tra gli elettori di Macron, soltanto il 15% pensa che la loro situazione migliorerà; oltre il 50% è convinto che starà peggio. E già si annunciano ondate di proteste e rivolte sociali: per la frustrazione di vedere confermato per cinque anni un presidente stimato da molti, amato da pochi e detestato da moltissimi; ma soprattutto per la preoccupazione e la rabbia che crescono a vista d’occhio.

Sino a poco tempo fa, la bomba sociale era considerata la mancanza di lavoro. Ora è l’aumento dei prezzi. E non dei beni di lusso; del pane, della pasta, della benzina, del gas. E questo tema dominerà pure la campagna elettorale italiana, che inizia ora. E potrebbe avere un esito opposto a quello francese: la destra sovranista — tuttora in mezzo al guado tra Orbán e Macron, tra nazionalismo ed europeismo — è favorita in tutti i sondaggi.

A lungo, in Occidente, si è teorizzato che il lavoro fosse finito. In Francia ebbe successo 25 anni fa un libro di Viviane Forrester — grande donna: si chiamava in realtà Viviane Dreyfus, si salvò dai nazisti fuggendo in Spagna, scrisse di Van Gogh e di Virgina Woolf —, intitolato «L’Horreur économique». L’orrore economico era appunto la fine del lavoro: i lavoratori venivano disprezzati perché non servivano più. Si pensò allora di finanziare, con una frazione dell’immensa ricchezza creata dalla finanza e dalla tecnologia, un reddito universale: quello che in Italia si chiama reddito di cittadinanza, anche se non viene pagato dagli speculatori e dai padroni della Rete ma dal ceto medio.

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