Virus, guerra e “gauche quinoa”, la stanchezza dei democratici

Concita De Gregorio

Dice che la gente è stanca. Chi lo dice? Il rumore di fondo, quel ronzio che ogni tanto diventa titolo e dunque fa testo, da lì riparte il vigore degli algoritmi e l’umore della strada: non si sa più se è la realtà che determina il “si dice” o viceversa, tanto è uguale, cosa cambia. Per essere in tendenza bisogna fare surf sulla polemica del giorno: le scandale du jour, che qui fra poco si parla di Francia. Stanca di cosa? Della pandemia, “ora però basta” come se il virus fosse un bimbo capriccioso, uno scappellotto così la fa finita, guarda che abbiamo perso la pazienza; della guerra, di tutte queste Irine, del “giornalismo emotivo” e “filo ucraino” che il pensiero unico ci impartisce – dicono i campioni delle “minoranze censurate” ogni sera a strologare in tv, i filo russi fino a ieri no vax, i dissidenti eroici e sovente ben pagati, i complottisti del “non ce la contate giusta” incitati da frotte di commentatori a fare il tifo: tutti lì indenni, da casa. Ma il coraggio si chiama così quando costa, non quanto conviene: se ci rimetti, non se ci guadagni. O no?

Della politica. La gente è stanca della politica. Questa è la stanchezza più grande. Dice che la gente è preoccupata del carovita, non del destino di Mariupol. Delle bollette, dell’Iva da pagare: si capisce, è normale. Se non hai soldi per vivere cosa t’importa di Putin, dei massacri. Dittature, democrazie: ok, discutete pure. Ma noi? La busta paga a fine mese? Chi ci pensa a noi? La libertà – persino quella di dire che l’Occidente fa schifo, che la nostra politica fa schifo – costa, tuttavia. La pace costa: o preferite l’aria condizionata? Molto rischioso sarebbe un sondaggio popolare. Condizionatori (la parte per il tutto: lavoro, industria, benessere, aria fresca, ristorante senza mascherina, estetista, calcetto) in vantaggio nei sondaggi.

E cosa ci può garantire il benessere, dato che non siamo assolutamente intenzionati a rischiare la vita e fare la rivoluzione per cambiare, come dice il Papa, il sistema di vita? Be’, facile: serve un uomo forte. Uno che ci pensi lui. Il campione italiano del “Ghe pensi mì” ha un’età, però, e Putin non gli risponde più al telefono. Si è appena risposato per finta, anche lui ha la sua vita. Gli altri, gli epigoni, non sembrano all’altezza ma non è detto. A tempi deboli leader minori. Le paure, l’abitudine alla sazietà di bisogni primari e l’individualismo che è spirito del tempo – padroni a casa nostra – inducono alla delega. Pensateci voi, che vi votiamo a fare. Serve uno/una che ci pensi, che noi qui a casa abbiamo da finire una serie tv. Allora, chi può risolvere questo fatto dei soldi che mi servono a campare come prima, a pagare il matrimonio della figlia? Salvini? Meloni?

Dicevo che si parlava di Francia. Non perché alla “gente” interessi particolarmente, la Francia. È tra l’altro impopolare, il suo sciovinismo abbastanza odioso, i francesi si credono chissachì. È però invece abbastanza interessante e così vicino, il cugino ricco. Quel che succede lì. Non in Bielorussia o in Nebraska: a Parigi, dove si va in viaggio di nozze – se ci lasciano i soldi per farlo. Questi qua, i politici. Quindi vediamo, ci potrebbe servire a capire qualcosa di noi, a casa nostra.

Si è votato al primo turno delle presidenziali, avete visto. Cosa è successo. I partiti tradizionali sono scomparsi. Ha ragione “la gente”, il “dice che”: la vecchia politica ha stancato. I repubblicani e i socialisti, che hanno espresso gli ultimi due presidenti della Repubblica prima di Macron, Sarkozy e Hollande, sono spariti. Devono fare una colletta per recuperare le spese elettorali quelli che non hanno raggiunto il 5 per cento: il partito socialista di Hollande con Anne Hidalgo ha preso l’1,7, per capirci. Cancellati dalla mappa. Va bene. Quella storia è finita. Pensiamo a casa nostra: sono finiti, stanno finendo anche qui? La gente, quella che è stanca della vecchia politica, vuole l’uomo forte. La Francia, sempre gradiosa, ne ha due: l’uomo e la donna, che in tempi di rivendicazione di genere funziona parecchio. Macron incarna il pragmatismo moderato, come avrebbe voluto fare Matteo Renzi senza riuscirci: ha assorbito il consenso da destra e da sinistra, restando al centro. Con un piccolo sbilanciamento a destra, ma al centro. Anfibio, funzionava da ministro del governo socialista e funziona da conservatore liberale. Ha assorbito i voti di repubblicani e socialisti, dissanguandoli. Lo votano i benestanti laureati di una certa età, è il candidato che piace ai ricchi e a chi vorrebbe grazie a lui essere presto ricco. È il più giovane, ma piace ai vecchi. Il più vecchio invece piace ai giovani. Interessante, no? Jean-Luc Mélenchon, lo splendido perdente del ballottaggio, ha 70 anni, è nato in Marocco, è quasi sordo, incarna una sinistra radicale antisistema che molti, sbagliando, paragonano al Movimento Cinquestelle. È la vecchia sinistra minoritaria, invece, quella che da noi dopo la scomparsa di Sel non trova eredi: ha vinto, è risultato primo tra i votati all’Ile de France, la regione di Parigi. Dunque questo nonno brontolone una volta filo sovietico ora redento alla causa ucraina – da ultimo, per forza – piace non solo ai ragazzi ma agli intellettuali, alla borghesia, alla gauche caviar ormai trasmigrata in gauche quinoa, politicamente corretta. La forza delle illusioni ha un suo elettorato.

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