La difesa dell’Unione europea: l’esercito che piace (solo ora)

di Ernesto Galli della Loggia

Molti ex pacifisti oggi si dicono favorevoli ma soltanto perché continuano a pensare che il vero avversario sia l’«egemonismo americano» e quindi la Nato

Improvvisamente l’idea di un esercito europeo sta ricevendo un plebiscito di consensi. Attempati pacifisti, studenti barricadieri, molti personaggi custodi del retaggio «antimperialista» della sinistra, i quali fino a ieri al solo parlare di necessità per l’Ue di un suo proprio apparato di difesa militare mostravano il più radicale dissenso sostenendo che la vocazione dell’Europa era quella all’«inclusione», ad essere uno «spazio del diritto» e ad altre simili nobili cause, oggi invece ammettono che sì, un esercito europeo è necessario. Ma non è tanto l’aggressione russa all’Ucraina ad aver fatto cambiare loro idea quanto ciò che essa ha prodotto: cioè l’evidente rilancio del ruolo della Nato e dunque il rafforzamento del ruolo degli Stati Uniti sulla scena europea e mondiale. E infatti è con tutta evidenza in contrapposizione a tale ruolo che gran parte del fronte neo-ex-pacifista, il quale si riunisce intorno alla parola d’ordine «No alla guerra», si dice oggi a favore di un esercito europeo.

La verità è che per il pacifismo nostrano il vero avversario continua ad essere l’America. Sicché pur di opporsi all’«egemonismo americano» e a quello che viene considerato il suo strumento militare rappresentato dalla Nato — rivelatosi più che mai centrale nel sostegno alla causa ucraina — va bene anche la scoperta del patriottismo europeo e l’ipotesi di un esercito targato Ue. Insomma dal secco «No alla Nato» di un tempo si è passati all’odierno «Facciamo a meno della Nato armandoci per conto nostro» (salvo poi, però, alquanto contraddittoriamente, opporsi a spada tratta a ogni aumento della spesa militare).

Personalmente sono convinto non da oggi — cioè da quando non si era in molti a dirlo — che se vuole contare qualcosa nel mondo, se vuole avere una politica estera, l’Unione europea deve dotarsi di uno strumento militare, deve armarsi adeguatamente. Ma il sano realismo che sta dietro questo proposito deve fare i conti non solo con il fatto che verosimilmente un obiettivo del genere non può essere realizzato prima di una ventina d’anni (ad essere ottimisti), ma anche con la circostanza che prima è indispensabile sciogliere due o tre giganteschi nodi politici. Sicché parlare oggi di «esercito europeo» come un’alternativa alla Nato è solo un esercizio retorico o un espediente politico di bassa lega. Probabilmente le due cose insieme.

Innanzi tutto, come dovrebbe essere evidente, un esercito europeo realmente operativo non nasce dalla somma di dieci/quindici organismi militari finora assai diversi tra loro da moltissimi punti di vista a cominciare da quello degli armamenti (per cui accade che ogni esercito sappia usare solo le armi proprie). Un esercito europeo vuol dire invece creare un organismo integrato a ogni livello, dotato di un’effettiva, fisiologica, capacità di comunicazione tra i diversi contingenti nazionali e addestrato a operare unitariamente. Ma queste non sono cose che s’organizzano in sei mesi e neppure in un anno. A rendere tutto più complicato si aggiunge il fatto che un simile processo aggregativo soffrirebbe della mancanza in partenza di un nucleo forte egemone con funzione e capacità aggreganti quale è oggi nella Nato l’esercito degli Stati Uniti.

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