La strategia Ue per fare a meno del gas russo ha un baco: il gnl è poco e costerà tanto

di  Claudio Paudice

La corsa a perdifiato dell’Unione Europea per accaparrarsi nei prossimi mesi nuovi terminal per rigassificare il gas naturale liquefatto con cui sostituire parte dei 150 miliardi di metri cubi di metano pompati ogni anno dalla Russia nei suoi gasdotti potrebbe presto arrestarsi davanti a un bivio: carenza di materia prima o prezzi elevati per periodi prolungati. Con il piano RePowerEu, la Commissione punta a tagliare di due terzi le forniture di Mosca entro la fine del 2022 per ridurre la grave dipendenza energetica nei suoi confronti. Rinunciare al gas russo nell’immediato non è possibile, a meno che non si voglia andare incontro a razionamenti, distruzione di domanda, incremento della disoccupazione e recessione quasi certa. Ci vuole tempo, per l’Italia soprattutto, tra i più dipendenti insieme alla Germania dalle importazioni russe. Secondo il Ministero della Transizione ecologica, per tagliare del tutto il cordone con Vladimir Putin i tempi non saranno inferiori ai due o tre anni. Bruxelles si è resa conto, forse tardivamente, che senza colpire l’export energetico di Mosca la potenza delle sanzioni è destinata a essere sterilizzata dagli enormi ricavi derivanti dalla vendita di greggio e metano. Da quando è iniziato il conflitto ucraino, l’Ue ha finanziato per oltre trenta miliardi di euro la Federazione russa, soldi che il Cremlino sta impiegando per finanziare la guerra e a disinnescare l’impatto delle misure ritorsive dell’Occidente. I Ventisette paesi dell’Ue hanno perciò adottato un piano per liberarsi da Mosca che prevede vari livelli di intervento: spinta sulle rinnovabili, ricorso a fonti fossili alternative, maggiore diversificazioni tra i fornitori, efficientamento energetico e, soprattutto, più gas naturale liquefatto. Il gnl non è altro che gas raffreddato a una temperatura di -162° e ridotto di volume di oltre 500 volte. Una volta liquido può essere trasportato a bordo di navi ad hoc, metaniere, che lo consegnano nei terminal di approdo dove viene poi rigassificato. 

Degli oltre 150 miliardi di mc che la Russia fornisce all’Europa, la Commissione punta a sostituirne circa cinquanta con gas liquefatto non russo. Un obiettivo ambizioso, forse anche troppo visto che un analogo piano in dieci step dell’Agenzia internazionale dell’Energia stima un apporto di gnl di “soli” venti miliardi per raggiungere l’indipendenza europea dal gas russo. Maturata la convinzione di doversi staccare dalla rete dei gasdotti di Mosca, l’Unione Europea si è però trovata a corto di infrastrutture in grado di accogliere il gas naturale liquefatto. La Germania non ha nemmeno un terminal e ora punta a costruirne il primo, la Polonia ne ha uno solo, la Lituania pure. L’Italia, insieme alla Francia, sta messa leggermente meglio. Ne ha tre, a Porto Venere, Rovigo e Livorno e presto nelle intenzioni del Governo dovranno lavorare a pieno regime: quello di La Spezia opera al momento circa 3,5 miliardi di metri cubi all’anno, quello di Rovigo circa otto miliardi e quello di Livorno circa 3,75 miliardi all’anno. Potrebbero lavorare fino a 6 miliardi di metri cubi di materia prima in più. Il Governo Draghi sta cercando di attivare al più presto anche altri due impianti galleggianti Fsru (Floating Storage and Regasification Unit) con cui aumentare la capacità di rigassificazione. 

In linea del tutto teorica l’Ue avrebbe una capacità inutilizzata di importare più gas liquefatto di circa il 50% e potrebbe perciò risolvere tutti i suoi problemi acquistando altri 100 miliardi di metri cubi in più. Il problema è come detto di natura infrastrutturale: la capacità di rigassificazione non è distribuita in modo uniforme e gran parte di quella inutilizzata fa capo al Portogallo e soprattutto alla Spagna, vero hub di gnl europeo, pari a circa 36 miliardi di metri cubi annui. Ma il tubo che collega la penisola iberica alla Francia ha una capacità di trasporto di soli sette miliardi di metri cubi l’anno. La rete di gasdotti europea è concepita per i flussi da est verso ovest e non viceversa. Si tratta del più grande collo di bottiglia infrastrutturale europeo.

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