L’Occidente è già entrato nell’economia di guerra

MASSIMO GIANNINI

Assassinata il 7 ottobre 2006, e così portata in “dono” al Tiranno nel giorno del suo cinquantaquattresimo compleanno, Anna Politkovskaja aveva già tutto chiaro nel 2004, quando scriveva che «i veri responsabili di quanto sta accadendo siamo noi». Noi e non Putin. Il fatto che la nostra reazione a lui e alle sue ciniche manipolazioni si sia limitata a sparuti borbottii da cucina gli ha garantito l’impunità… La nostra apatia è stata senza confini e ha concesso a Putin l’indulgenza plenaria. Le nostre reazioni a ciò che ha detto e ha fatto non sono state solo fiacche, ma impaurite.

Rileggere oggi “La Russia di Putin” è un esercizio di tragica autocoscienza. È un “noi” collettivo, quello pronunciato da Anna. “Noi” sono loro, cioè i russi, che avrebbero dovuto sapere che il Kgb, ora Fsb, «rispetta solo i forti mentre i deboli li sbrana». Ma “noi” siamo anche noi occidentali, che avremmo dovuto vedere e non abbiamo visto. Avremmo dovuto agire e non abbiamo agito. Oggi è tardi, perché è già guerra e la guerra ci spaventa, ci chiama. E noi non sappiamo se e fino a che punto combatterla. Eppure quello che l’Economist chiama il “culto della guerra” non è nuovo per il Piccolo Padre di San Pietroburgo. La crociata contro le democrazie liberali europee è iniziata da due decenni, in nome della “Russkiy Mir”, la “Pax Russica”, un edificio ideologico costruito su una cultura pan-slava oscurantista e anti-occidentale, etnicismo condiviso e dio-patria-famiglia, dogma ortodosso e nazionalismo, teoria della cospirazione e stato sicuritario post-staliniano. In cima all’edificio, un potere oscuro e intollerante, la cui legittimazione non affonda nel bene pubblico, ma nella sua natura sacrale e semi-religiosa.

L’abbiamo visto nella parata di regime dello Stadio Luzhniki, quando Putin in parka Loro Piana, idealmente contrapposto al presidente ucraino Zelensky in t-shirt verde militare, ha evocato l’ammiraglio e santo ortodosso Fedor Ushakov, che nel 18esimo secolo liberò la Crimea dagli Ottomani. L’abbiamo sentito nelle parole del Patriarca Kirill, che considera Putin “un miracolo di dio” e che insieme a lui, il 22 giugno 2020 nel settantacinquesimo anniversario della fine della “Grande Guerra Patriottica”, inaugura a Kubinka la Cattedrale delle Forze Armate Russe, un’enorme costruzione neo-bizantina forgiata con l’acciaio dei tank tedeschi e affrescata con le scene vittoriose dell’invasione della Georgia del 2008, l’annessione della Crimea del 2014 e la campagna in Siria del 2015. L’abbiamo letto nelle farneticazioni del massimo ideologo del putinismo Alexander Dugin, che ripete: «Voi occidentali avete paura che la Russia si riaffermi come potere indipendente, che vuole difendere la sua identità, perché noi abbiamo il cristianesimo, voi avete il gender… La Russia è l’eredità della Beata Maria Vergine, mentre l’Occidente è il mondo dell’Anticristo… Molta gente sta con Putin perché è contro questa dominazione geopolitica dell’America e delle lebbrose democrazie liberali».

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