La metamorfosi del Sultano: così Erdogan rovescia la Storia

La Francia che da anni, dai tempi di Sarkozy, minaccia sconquassi se qualcuno osa nominare un possibile ingresso della Turchia nell’Unione ha ammorbidito i toni. Macron se lo affianca come l’unico che ha continuato a telefonare a Putin.

Lui le sanzioni alla Russia non le ha mai messe, ma evitiamo di ricordarglielo come facevamo fino a ieri accusandolo di complicità. O rinfacciargli gli Stretti chiusi alle navi da guerra belligeranti ma solo dopo che la flotta russa è passata per andare a mettere in ceppi il mar nero e Odessa. Il gas e il grano russo gli servono, sono indispensabili, nessuno gliene farà ormai una colpa. E gli oligarchi che fanno la fila in Turchia dove sono al riparo da sequestri, prelievi e impoverimenti, yacht compresi e trapiantano i miliardi? Le sanzioni per lui sono un affare, l’ennesimo.

E il fatto stesso che il mediatore sia lui, rubando la parte ai professionisti del riattaccare i cocci tra le nazioni, ovvero l’Onu, non è un segno dei tempi nuovi che rovesciano la storia ? Che un musulmano nazional integralista che rimette il velo alle turche e riapre moschee sia l’unico che tenta di far la pace in una mischia tra due nazioni cristiane che hanno dato in scalmane? È un po’ come se nel cinquecento fosse intervenuto il sultano Selim il crudele per far stringere la mano a Carlo di Spagna e Francesco di Francia.

Il pacificatore del palazzo di Dolmalbahce ha le sue ragioni per industriarsi a pacifista. Il prossimo anno in Turchia ci saranno le elezioni. Passaggio delicato come forse mai prima per questo invincibile poco disposto a sentirsi dimissionario. La crisi economica che ha massacrato la moneta turca e le strambe misure che il sultano ha ordinato per salvarla hanno sotterrato le promesse di sviluppo permanente. La gente mugugna afflitta da povertà, le città nuove di zecca stile pasticceria, tutta vetrine, tirate su ovunque rischiano di diventare archeologiche testimonianze di una pingue e opaca ispirazione di grandeur mortificata, deviata, che si intoppa. A questo si aggiunge una opposizione che stavolta sembra decisa a non fare da figura retorica.

Così giorno dopo giorno senza troppo chiasso Erdogan ha cambiato linea in politica internazionale: lui che ha litigato con tutti, ha moltiplicato i disgeli, con Arabia saudita ed Emirati, ritorna al tenero con Israele, perfino con la Grecia ha provato a fare marcia indietro. È lo stile del giorno. A risponder picche al soft power di Erdogan son rimasti solo l’Egitto e la Siria di Bashar Assad che è un nemico storico e irrimediabile.

Con Putin era finora concorrenza tra due travagliosi espansionismi paranoici che sembrano usciti dal baule della storia in cui sono stati riposte le divise del nonno. In Libia si sono combattuti sostenendo opposti pretendenti al potere acconciandosi a una spartizione delle influenze. Anche in altre crisi africane le mire di Erdogan si sono scontrate con i fastidiosi mercenari russi della Wagner pronti ad accorrere ovunque ci sia un colpo di stato da sostenere. Ora possono rendersi utili l’uno per l’altro.

LA STAMPA

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