Conseguenze economiche di una guerra senza vincitori

MASSIMO GIANNINI

Assuefatti a ogni orrore, immersi nell’irrealtà virtuale, osserviamo la guerra che avanza come fosse l’ennesima serie di Netflix. Non ci scuotono le granate Ags e Spg che piovono nei cieli del Donbass. Non ci inquietano i colpi di mortaio che fischiano più a Nord, verso il confine bielorusso. Non ci sconvolge l’immagine forse più agghiacciante di questa “ora più buia”: lo Zar Putin, insieme ai suoi generali, che dagli schermi della “situation room” al Cremlino osserva orgoglioso l’esercitazione dei missili nucleari ipersonici Kinjal e Zircon, che lui stesso definisce “invincibili”. L’Orso russo gonfia i muscoli e li mostra al pianeta. Lo fa ogni anno, ma stavolta la prova di forza atomica è anticipata a febbraio, com’era accaduto solo nel 2014. Sarà stato un caso, ma di lì a poco i tank marciarono sulla Crimea.

Ora tocca all’Ucraina. Dopo giorni di strappi militari e ricuciture diplomatiche, siamo arrivati davvero a un passo dal baratro. Mettiamo pure da parte l’essenza del problema, e cioè il rifiuto etico della guerra. In termini di puro buon senso politico ed economico, una guerra contro l’ex repubblica sovietica guidata da Zelensky non “conviene” a nessuno. Eppure, l’inerzia dei fatti dimostra invece che una guerra è possibile, e a questo punto addirittura probabile. I potenti della terra, riuniti a Monaco per la conferenza sulla sicurezza, sembrano propensi a non ripetere oggi lo stesso errore che commisero nel settembre del ’38, quando in quella stessa città lasciarono che il Fuhrer, annessi i Sudeti, depositasse le sue uova avvelenate nel cuore d’Europa.

Per fortuna Putin non è Hitler, la Russia non è il Terzo Reich, l’Ucraina non è la Cecoslovacchia, il mondo di oggi non è quello di 84 anni fa. Nonostante questo, al contrario di quanto fecero allora Chamberlain e Daladier di fronte all’invasione tedesca, i leader occidentali non cedono alla provocazione russa. Lo dice Ursula von der Leyen, per conto della Ue: se la Russia attaccherà “imporremo costi elevati e gravi conseguenze a Mosca”. Lo ribadisce Kamala Harris, per conto dell’America: la nostra risposta sarà “massiccia, rapida” e soprattutto “condivisa da tutti”.

È la cosa giusta da dire. Quanto al fare, tutto si complica, se Vlad il Matto prevale su Putin il Razionale. Finora la “guerra ibrida”, fatta di escalation militari, hackeraggi informatici e “disinformatsija” politica, aveva strapagato: portandogli in dote una chiara legittimazione a sedersi al tavolo in cui si discute di sicurezza globale e di armamenti e, se non la ricostruzione lungo le sue frontiere della sfera di influenza strategica dell’era sovietica, almeno il rinvio dell’ingresso ucraino nella Nato. Bottino tutt’altro che magro, che si accompagna a una politica estera più aggressiva che assertiva nel Mediterraneo e in zone di interesse cruciali come la Siria e la Libia, il Mali e il Centro-Africa. Perché l’Autocrate di Mosca debba passare adesso alla “guerra calda” è incomprensibile. Un’offensiva su Kiev è un ricostituente per i suoi nemici: rianima Biden in crisi di consensi a pochi mesi dal voto di MidTerm, ridà fiato a una Nato a corto di strategie e di risorse, ricompatta un’Europa che finora ha vissuto di missioni impossibili e improbabili dei suoi singoli, da Macron a Scholz, e domani o dopodomani sarà anche la volta di Draghi.

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