Il partito di Draghi

Ilario Lombardo

ROMA. Per il momento a Draghi servono braccia robuste che remino nella stessa direzione, per assicurarsi l’approdo certo delle prossime tre tranche del Piano nazionale di ripresa e di resilienza. Brunetta è a bordo. Assieme a lui nel governo ci sono il ministro dell’Economia Daniele Franco e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli. Per dire: era già previsto che quest’ultimo restasse a Palazzo Chigi a monitorare i ministeri sul Pnrr se il premier si fosse trasferito al Quirinale. Franco e Garofoli sono la colonna portante della struttura tecnica del governo, gli uomini dei conti, finiti nel mirino di Lega e M5S al tempo del Conte I, quando erano al Tesoro. Su di loro e su Vittorio Colao, ex manager e oggi ministro dell’Innovazione, con la missione di digitalizzare l’Italia, è riposta la speranza di vedere trasformati in cantieri e in sviluppo i soldi europei del Recovery fund.

Il destino di Draghi è legato indissolubilmente all’uscita della pandemia, al Pnrr e alla ripresa economica. È la ragione sociale del suo governo. È stato chiamato per questo dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e per questo, in fondo, i partiti hanno voluto che rimanesse dov’era. L’astuzia, la malizia e la tenacia dei parlamentari, terrorizzati dall’idea di una crisi al buio senza più Draghi al timone, hanno fatto il resto. Le macerie della Waterloo quirinalizia hanno sublimato la crisi dei partiti e reso vapore le leadership. Nella tensione finale si sono misurate le possibilità di uno spazio politico nuovo. Lo spappolamento del quadro, il giorno dopo l’elezione di Mattarella, ha immediatamente creato le condizioni per tornare a parlare di legge elettorale proporzionale. Un acceleratore che potrebbe portare a frontiere inedite e aggregazioni fuori dalle cornici delle attuali coalizioni. L’ultimo giorno di votazioni, Bruno Tabacci si aggirava euforico tra i colleghi alla Camera. Uomo di avventure politiche sperimentali e costruttore di tempestive scialuppe di salvataggio, confessava ai colleghi: «Ho un paio di idee sul futuro di Draghi da sottoporgli. Vediamo cosa ne pensa. È una risorsa che non possiamo perdere». Tabacci ha la fiducia del premier, che lo ha voluto con sé come sottosegretario della presidenza del Consiglio, ed è pronto a tessere la tela di un progetto politico che fa gola a tanti, abbozzato già nelle settimane subito successive alla nomina del banchiere a Palazzo Chigi. «Niente a che fare con Mario Monti, sia ben chiaro», fantasticava Tabacci. Nessun partito personale del tecnocrate chiamato, in emergenza, a commissariare la politica. Ma un orizzonte che si svela a suo nome. In tanti si intesteranno una forza politica o un’area ispirata al governo Draghi. Funzionerà come promessa di rivederlo alla guida dell’Italia, anche dopo le elezioni del 2023. «Votate noi, e votate per altri 5 anni di Draghi», sarà lo slogan. Al centro c’è già affollamento di sigle e speranze. Con l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, è possibile, ma con il sistema proporzionale potrebbe quasi essere una certezza: se non ci sarà una maggioranza chiara, si proporranno nuove formule ibride per il governo, e tra queste sicuramente un’alleanza europeista, con Draghi alla sua testa. Il più grande ostacolo potrebbe essere ancora una volta il Quirinale. Perché, dopo aver perso questa occasione, il premier non ha accantonato le speranze di succedere a Mattarella, nel caso in cui, dopo il voto, di fronte a un Parlamento quasi dimezzato nei numeri, il capo dello Stato dovesse lasciare in anticipo.

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