Meno male che Silvio c’è

Enrico Letta, e con lui tutti quelli che vogliono Mario Draghi al Colle, potrebbero cantare Meno male che Silvio c’è perché, a sua insaputa e con la capricciosa confusione che sta creando, il Cavaliere lì li sta portando. Va bene, spiegano che è ancora “indeciso”, tra indole alla conta in Aula e pallottoliere che la sconsiglia, raccontano che il vertice è slittato da giovedì a venerdì (forse) quando sarà ancora più chiaro che non ci sono i numeri e prevedono che – chi la fa, l’aspetti – la sinistra si prepara a riservargli il trattamento che lui, poco garbatamente ma efficacemente riservò a Prodi nel 2013: l’Aventino. E, con questo precedente, come fai a dirgli che è scorretto.

Sia come sia, per dirla appunto col segretario del Pd, il Cavaliere si è infilato in un “vicolo cieco”: se va avanti in Aula, si schianta perché Sgarbi e l’allegro circo che si è messo in moto fanno capire che non ci sono i numeri. E il minuto dopo, i due baldi giovani che finora hanno assecondato non potendo fare altrimenti, diranno che ora basta, non tocca a lui scegliere. Se invece, come tutto racconta, si ritira dalla corsa, si riapre la giostra degli aspiranti kingmaker.  Anzi si è già riaperta, con Meloni e Salvini che alludono a un non precisato nome di centrodestra. Solo chi non conosce Berlusconi può pensare che possa dare il via libera a qualcun altro della stessa coalizione, chiunque esso sia, diverso da sé.

Questione di indole, prima che di politica, “dopo di me il diluvio”: immaginare che uno del suo schieramento, o peggio del suo partito, trattato ai tempi del berlusconismo imperante come un “collaboratore” sia se era ministro, sindaco, carica istituzionale possa ascendere al Colle più alto produrrebbe una ferita narcisistica da lesa maestà, facendo subito scattare il meccanismo psicologico che “non ha il quid”. E quindi non va bene. Le istruzioni per l’uso, chiedetele ad Alfano, ad esempio. E ricordate quando il Cavaliere fu costretto a cedere palazzo Chigi: mica indicò sua sponte un altro di centrodestra che poteva tenere assieme la maggioranza. Cedette a un esterno di emergenza, Monti, rimanendo il capo della coalizione (e poi infatti lo tirò giù).

Bene, è bastato leggere sui giornali il nome della Casellati o di Gianni Letta come “possibili” candidati al Colle che immediatamente ha iniziato a guardarli storto. Anzi, a corte è subito iniziato un nuovo perfido gioco. Chi vuole mettere in cattiva luce qualcuno agli occhi del Capo, in questi giorni gli spiffera all’orecchio, anche se non è vero, che ha ambizioni quirinalizie. E, anche se è inverosimile, l’effetto è quello di un sospetto immediato. Per non parlare di Verdini, che involontariamente ha dato il bacio della morte al genero, con quell’invito a investirlo del ruolo di kingmaker di un altro candidato che non fosse Berlusconi, apriti cielo.

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