Patrizio Bianchi: “La Dad non è il demonio, ma ci sono regole precise. Sì agli hub nelle scuole”

Ora che si è tornati in classe come previsto, si può dire che avete vinto la sfida?
«Io non la vivo come una sfida, ma come un impegno collettivo, bisogna richiamare tutti alla responsabilità di questo impegno, per mettere gli studenti in condizione di proseguire con le loro attività. Ad aprile, quando abbiamo deciso di riaprire, si diceva che era impossibile tornare in classe, a settembre è successa la stessa cosa, anche adesso si dice che non è possibile. Potranno esserci situazioni difficili, e ce le aspettiamo, ma ci sono anche regole puntuali per affrontarle».

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A proposito di difficoltà, molti presidi lamentano quella di trovare supplenti per sostituire i docenti in quarantena…
«Ci possono essere realtà in cui questo problema è concreto, ma un potenziamento dell’organico c’è stato: in legge di bilancio abbiamo stanziato 400 milioni per rinnovare i contratti del personale Covid e, all’inizio dell’anno scolastico, abbiamo assunto con i concorsi 60mila docenti».

Poi c’è chi sostiene che non è stato fatto abbastanza per riaprire in sicurezza, a cominciare dal sovraffollamento delle cosiddette “classi pollaio”.
«Quello delle “classi pollaio” è un tema offensivo, perché non è un problema di massa, riguarda il 2, 6% delle aule, concentrate in alcune aree e nelle scuole tecniche professionali. Comunque, abbiamo inciso anche su questo fenomeno».

Poi c’è la scarsa dotazione di sistemi di ventilazione meccanica nelle aule…
«Anche per interventi di questo tipo abbiamo dato 150 milioni agli enti locali, che sono proprietari degli edifici scolastici, e poi altri 350 milioni direttamente alle scuole. C’è chi ha provveduto e chi no, ma noi non abbiamo la capacità impositiva di dire come usare quei soldi. Al massimo, possiamo definire linee guida più stringenti, ma sempre nel rispetto dell’autonomia di amministratori e dirigenti scolastici».

Poi c’è la questione dello screening, la necessità di garantire i tamponi a tutti gli studenti…
«Abbiamo dato 92 milioni alla struttura del generale Figliuolo per fare accordi con le farmacie e offrire tamponi gratuiti ai ragazzi delle scuole secondarie. Le nostre sono risposte precise, le foto con le file davanti alle farmacie in attesa dei test le possiamo fare tutti».

Sulle vaccinazioni, in particolare dei bambini, bisogna insistere: l’ipotesi di allestire hub vaccinali nelle scuole è plausibile?
«Non è una soluzione impensabile. La Puglia, ad esempio, lo sta già facendo. Vogliamo portare il vaccino il più vicino possibile agli alunni, abbiamo avviato un ragionamento con la struttura commissariale, che ci sta lavorando. Ma bisogna tenere conto delle diverse esigenze tra la fascia 12-19 anni, in cui abbiamo il 74% dei ragazzi con la seconda dose e l’85% con la prima, quindi bisogna solo completare le vaccinazioni, e i bambini più piccoli, per i quali la campagna vaccinale è iniziata da meno di un mese e i numeri sono inevitabilmente più bassi».

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In molte scuole dell’infanzia si sono viste classi semivuote: i genitori non mandano i bambini, per paura dei contagi. Cosa si sente di dire loro?
«Capisco i timori, del resto vengono travolti da informazioni allarmistiche e messaggi che suscitano insicurezza. Ma sono certo che, piano piano, tutti i bambini torneranno a scuola».

Se si dovessero perdere giorni di scuola da qui a giugno, è possibile immaginare un allungamento dell’anno scolastico in estate?
«Finora non è stato perso nemmeno un giorno di scuola, a differenza degli anni passati. Nel caso dovesse andare diversamente nei giorni a venire, possiamo ragionare su questa ipotesi, sempre confrontandoci con le Regioni».

La decisione di riaprire la scuola in presenza, dopo le vacanze di Natale, è stata condivisa da tutti in Consiglio dei ministri?
«Sì, ne abbiamo discusso in maniera approfondita, poi il provvedimento è stato approvato all’unanimità. Ho trovato una consonanza totale tra le forze di governo su questa scelta fondante, c’è stata una volontà comune molto forte».

Non si può negare, però, che per il governo sia una fase difficile: le manovre dei partiti, in vista dell’elezione del presidente della Repubblica, incidono negativamente sull’azione dell’esecutivo?
«È impossibile non cogliere la delicatezza del momento e la complessità di questa fase, l’incertezza è evidente, acuita da questa nuova ondata della pandemia. Ma, sui grandi temi, ho visto l’azione di governo sostenuta dalle forze politiche: avevamo obiettivi precisi da raggiungere, entro il 31 dicembre, per ottenere la prima rata dei fondi europei e lo abbiamo fatto. Abbiamo sempre mantenuto un tasso di capacità decisionale, che ha consentito di portare a casa il risultato».

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Berlusconi, però, ha detto che, se Draghi dovesse lasciare palazzo Chigi, Forza Italia uscirebbe dal governo e si andrebbe al voto anticipato…
«Su questo non mi esprimo, dico solo che il governo sta portando avanti un’azione continua e coerente e sta affrontando i grandi temi del Paese. Credo che tutti coloro che hanno una responsabilità politica abbiano ben chiara la posta in gioco».

Ma, secondo lei, Draghi è meglio a Palazzo Chigi o al Quirinale?
«Draghi per primo ha detto di non voler rispondere a questa domanda, si figuri se lo faccio io. Non posso parlare del suo destino, ci penserà lui».

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