La «cultura» che vuole cancellare il passato

di Antonio Polito

Colpisce che sia il Papa a criticare l’ansia di abbattere statue, ostracizzare classici della letteratura, censurare autori e registi che dilaga negli Usa e in Inghilterra

I più recenti discorsi di papa Francesco smentiscono ulteriormente, se mai ce ne fosse stato bisogno, le accuse di chi lo vorrebbe «cripto-comunista», o «globalista», se non addirittura propenso al relativismo culturale. E forse per questo sono passati per lo più sotto silenzio. «L’inverno demografico — ha detto per esempio all’Angelus il giorno di Santo Stefano — è contro le nostre famiglie, contro la Patria, contro il futuro»; dove quel riferimento alla Patria contesta l’illusione della accoglienza indiscriminata, e l’idea in fondo un po’ razzista che immagina di poter usare la manodopera di un popolo in migrazione, quello africano, per risolvere i problemi di un popolo in declino demografico, quello italiano, in una sorta di nuova «società servile».

Ma ancor più significativo è stato il durissimo attacco che il Pontefice ha mosso, davanti ai membri del corpo diplomatico in Vaticano, contro la cosiddetta «cancel culture», che negli Stati Uniti e nell’anglosfera dilaga come presunto strumento di affermazione dei diritti delle minoranze, bollata dall’Economist in quanto arma della «illiberal left». Il punto critico per Francesco è che quest’ansia di abbattere statue e monumenti, ostracizzare classici della letteratura e del teatro, censurare autori e registi, «rinnega il passato» nel nome di un «bene supremo indistinto e politicamente corretto». Un falso idolo, insomma, si potrebbe chiosare; con il rischio di una «colonizzazione ideologica che non lascia spazio alla libertà di espressione». F rancesco vede insomma un problema liberale che sembra sfuggire a molti liberal: e cioè che «si va elaborando un pensiero unico, pericoloso, costretto a rinnegare la storia, o peggio ancora a riscriverla in base a categorie contemporanee, mentre ogni situazione storica va interpretata secondo l’ermeneutica dell’epoca, non l’ermeneutica di oggi».

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