Quell’asse Meloni-Letta per sognare Palazzo Chigi

Laura Cesaretti

Con o senza Draghi al Colle, giura Giorgia Meloni, le elezioni anticipate «saranno necessarie in ogni caso», e lei le chiederà a gran voce. Sulla scorta della (spericolata) tesi costituzionale secondo cui il mandato del governo Draghi è legato indissolubilmente alla figura di Mattarella.

Sia come sia, la leader di FdI sembra tenere molto ad una cosa: levare di mezzo il link tra elezione di Draghi a presidente e voto, un link che finora è stato usato come spauracchio per i parlamentari: neppure per sogno, dice, non cambierà nulla su questo. Se si tratti di spianare la strada del premier verso il Quirinale non lo dice: certo, «è una persona di grande autorevolezza», ma ancora non può dire «come voterebbe FdI». Quanto a Silvio Berlusconi, una sua candidatura «corrisponde al mio identikit», ma «poi bisogna vedere se ci sono i numeri», avverte.

La questione Quirinale finirà con ogni probabilità sul tavolo di un vertice del centrodestra, che sarà probabilmente convocato per la prossima settimana: «Dobbiamo parlarne». Intanto però sono in molti a sospettare che sulla candidatura Draghi non sia venuto meno l’asse tra Meloni e il leader dem Enrico Letta, che la ha già ufficialmente invitata a far parte di una «maggioranza allargata» nella partita istituzionale di fine gennaio. Tant’è che Salvini, per non farsi spiazzare, cerca di rilanciarsi come regista: «Prima della fine dell’anno spero di invitare tutti i leader a un incontro», assicurando che «il centrodestra sarà compatto». Sarà compatto, gli replica Antonio Tajani, «nel sostenere una candidatura Berlusconi, se lui la accettasse».

La Meloni immagina che l’elezione del premier possa mandare in frantumi la maggioranza Draghi, aprendo la strada al voto anticipato, e sogna di prendere abbastanza voti da poter concorrere (con il patentino di Grande Elettrice di Draghi) per la poltrona di «prima premier donna». Per poterlo fare ha bisogno, e in fretta, di ripulirsi l’immagine dai cascami post-fascisti e dagli eccessi sovranisti: per questo anela a sedere al «tavolo buono» sul prossimo presidente, e si dà un gran da fare a auto-definirsi «conservatrice».

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