Pearl Harbor 80 anni dopo. I caduti Usa ora hanno un nome. Le storie e i volti

Il lavoro è stato imponente: più di 5mila campioni di DNA sono stati prelevati nella ricerca. Gli esperti dell’Agenzia governativa hanno dovuto inventariare quasi 13mila ossa che erano state sulla nave e nelle acque intrise di nafta di Pearl Harbor, a volte per mesi. Gli antropologi forensi si sono trovati davanti i resti avvolti in fagotti di stoffa bianca fissati con grosse spille da balia. Il tutto inserito in 61 cofanetti di metallo arrugginito e tumulato in 45 tombe. Ogni bara conteneva da cinque a sette di questi involucri, una in particolare ne aveva 22.

Resti molto parziali: ossa di un braccio, vertebre cervicali di cinque persone diverse mescolate. Un singolo scheletro era composto da ossa di più soldati; alcune avevano ancora l’odore della nafta. Quella stessa nafta che spilla ancora dai serbatoi dell’Arizona affondata, nella baia di Pearl. Gli americani non sono mai riusciti a fare i conti con l’attacco giapponese di Pearl Harbor. Anche dopo l’11 settembre, quella tranquillità violata dai siluri del Sol Levante, rimane un monito per la nazione. Un monito al quale non si poteva rispondere che in un solo modo: riportare quei ragazzi caduti alle loro famiglie. 

QN.NET

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