In difesa dell’identità (e di Maria e il Natale)

di Antonio Scurati

Dopo la proposta (poi ritirata) dei funzionari Ue, in un documento sull’uso corretto del linguaggio, di «negare» le espressioni religiose del Natale, è bene smettere di ingannarsi: la libertà degli altri non nasce dalla repressione di noi stessi

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Babbi Natale alla fermata dell’autobus vicino alla Santa School, a Londra (Afp)

Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sia benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù.

Si può iniziare un articolo di giornale con una preghiera? Certo che si può. Si deve poterlo fare, senza che per ciò nessuno si senta offeso, o escluso.

In fondo non è molto diverso dal cominciare cantando: Oj Marì, oj Marì, quanta suonno ca i’ perdo pe’ te. Famm’addormì ‘n’ata notte abbracciato cu te.

Se mescolo sacro e profano
, la sublime poesia della liturgia cristiana alla non meno sublime poesia della canzone napoletana, è perché a Bruxelles qualche fanatico burocrate della Commissione europea ha pensato di diramare delle linee guida per una comunicazione corretta e inclusiva nelle quali si consiglia ai funzionari, in vista del Natale, non solo di evitare ogni riferimento a «genere, etnia, razza, religione, disabilità e orientamento sessuale», ma anche di «non usare nomi propri tipici di una specifica religione» quali Giovanni o Maria. La polemica è subito divampata. I difensori professionali delle radici cristiane dell’Europa si sono inalberati. Il documento è stato ritirato.

Tutto a posto? Niente affatto.

La strada del Paradiso, lo si sa, è lastricata di buone intenzioni e le buone intenzioni inclusive dei burocrati di Bruxelles conducono a un immenso equivoco sul significato di democrazia e tolleranza. La si deve piantare, una buona volta, di pensare che una società aperta sia quella che nega la propria cultura maggioritaria, che la democrazia significhi oblio di sé, che la tolleranza debba prevedere la perenne messa in stato d’accusa della propria identità (per quanto mutevole, complessa, stratificata, policentrica, o fluida, essa sia).

Qui non è questione di rivendicare e difendere le nostre radici cristiane, e tanto meno di mancare di rispetto alle radici religiose diverse dalla nostra, ma di capire che democrazia significa poter essere liberi di diventare ciò che si è. A cominciare da noi stessi, non dagli altri. Illudersi di poterlo fare a cominciare dagli altri è un atto di arroganza, di cecità e superbia, non di umiltà.

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