Quirinale, Anna Finocchiaro e le donne nel totonomi sul Colle: ci sono, non vengono viste

Si arriva al 2015, Giorgio Napolitano, che aveva accettato di fare il bis nel 2015 di fronte all’incapacità del Parlamento di eleggere un nuovo presidente, lascia. Del resto aveva già detto, nel momento di accettare la sua candidatura, che non avrebbe fatto tutto il settennato. Così sui giornali si riprende a parlare di Finocchiaro, benché alla segretaria del Pd (nonché a palazzo Chigi) sia arrivato quel Renzi che con lei aveva pessimi rapporti. Ma la flemma mal si concilia con il rancore, tant’è vero che Finocchiaro, da presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, contribuì all’approvazione dell’Italicum che stava tanto a cuore a Renzi.

E arriviamo al periodo più recente. Alla fine del 2016 Finocchiaro entra nel governo Gentiloni, come ministra per i Rapporti con il Parlamento. Nel 2018, dopo più di trent’anni da deputata e da senatrice poi (è stata eletta per la prima volta nel 1987 e ha fatto otto legislature ininterrotte) Finocchiaro dice addio ai palazzi della politica.

Adesso dirige «Italiadecide» l’associazione prima guidata da Luciano Violante. E il 3 dicembre, alla presenza di Sergio Mattarella, presenterà un rapporto della sua associazione sulla «fiducia sostenibile, la collaborazione tra pubblico e privato per la transizione ecologica». Sulla possibilità delle donne di farsi avanti ha ancora grande fiducia, come ha spiegato giorni fa: «Se una donna ha le capacità e le caratteristiche per fare la presidente, lo faccia sicuramente».

CORRIERE.IT

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