L’autocensura del David umilia l’arte

Giordano Bruno Guerri

L'autocensura del David umilia l'arte

S e è vero che non è una censura l’esposizione a Dubai di una copia del David di Michelangelo, mostrata solo dalla vita in su, peggio mi sento, perché è un’autocensura. «Il David non è visto come sempre accade dal basso verso l’alto, ma accoglie i visitatori guardandoli in faccia», dice Davide Rampello, progettista e curatore del percorso espositivo del Padiglione Italia all’Expo, «di solito nessuno può guardarlo negli occhi». Già, ma di solito tutti possono guardarlo intero, genitali (peraltro modesti), cosce muscolose a grandi piedi compresi. Se davvero si fosse voluto ottenere l’effetto «a me gli occhi», mezzi economici e tecnici non sarebbero mancati, invece di affossare oltre metà della costosa riproduzione negli uffici, invisibile al pubblico. Autocensura, dunque, per non disturbare i pudici padroni di casa. Come avvenne cinque anni fa, quando ai Musei Capitolini qualcuno decise di coprire con pannelli bianchi le statue di corpi nudi durante la visita del presidente iraniano Hassan Rouhani. «Penso che ci sarebbero stati facilmente altri modi per non andare contro alla sensibilità di un ospite straniero così importante senza questa incomprensibile scelta di coprire le statue», dichiarò allora il ministro Dario Franceschini. Ma, a dispetto del buon senso, l’abbiamo fatto di nuovo. Rampello – uomo simpatico, intelligente e di grande fantasia si esibisce in un’arrampicata sugli specchi tanto spettacolare da valere un premio alla creatività italiana: il David sarebbe un testimonial della memoria, «Nel Rinascimento la memoria era la madre di tutte le Muse, Michelangelo sapeva che senza memoria non ci può essere né scienza né arte.

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