Crisi dei sottomarini: così Biden tenta di ricucire con l’Ue

Paolo Mastrolilli

DALL’INVIATO A NEW YORK. Un errore gratuito, che si poteva facilmente evitare, ma rischia di compromettere proprio il contenimento della Cina danneggiando le relazioni con l’Europa. Ora che il danno è fatto, il presidente Biden dovrebbe usare la telefonata imminente con il collega francese Macron per inaugurare una seconda fase nella revisione della strategia per la regione indo-pacifica, che coinvolga non solo Parigi, ma l’intera Unione Europea, sul piano politico, diplomatico, militare ed economico.

Fonti molto vicine all’amministrazione ammettono off the record che la crisi dei sottomarini è stato un «unforced error». L’ufficio del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca che si occupa di Asia, guidato da Kurt Campbell, non ha minimamente condiviso cosa preparava per l’Australia con i colleghi dell’ufficio europeo, diretto da Amanda Sloat. Lo ha fatto perché riteneva la segretezza essenziale alla riuscita del piano, temendo che la Francia avrebbe cercato di boicottarlo, ma così ha creato le condizioni per la crisi. Il capo del Consiglio, Jake Sullivan, doveva sapere, ma non ha ritenuto necessario intervenire allertando Biden sul rischio che correva con Parigi e l’Europa intera.

Autorevoli fonti democratiche sottolineano che si è trattato di un errore più grave dell’Afghanistan, dove la strategia del ritiro era e viene ancora considerata giusta, ma sono stati sbagliati i tempi, perché nessuno aveva previsto una caduta così rapida del governo. Una grave mancanza di immaginazione, intelligence, organizzazione e gestione, che tuttavia non annulla la logica della decisione. La crisi dei sottomarini invece è più seria, perché rischia di compromettere l’intera politica di riavvicinamento all’Europa, su cui Biden aveva puntato molto fin dal viaggio di giugno proprio in chiave anti cinese: «Qualche mezzo nucleare per l’Australia è importante sul piano strategico, perché le consente di svolgere un ruolo più attivo nel contenimento di Pechino. Però non vale quanto la compromissione del rapporto con l’intera Europa, perché è di questo che stiamo parlando, non solo dei soldi per la consegna di alcune unità.

Dopo le tensioni già esplose per le mancate comunicazioni sul ritiro dall’Afghanistan, il Vecchio continente ha ricevuto un’altra conferma concreta che agli occhi di Washington non è più così rilevante. E l’impressione diventa ancora più grave, perché invece l’operazione ha favorito la Gran Bretagna in difficoltà economica e politica dopo la Brexit, dando la sensazione di voler creare un nuovo fronte anglosassone. È l’opposto dell’interesse nazionale americano, come lo abbiamo costruito dalla Seconda Guerra Mondiale in poi».

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