Come lo ha creato così lo distrugge

Altro che complotti nazionali, internazionali, dei poteri forti visibili e invisibili, dei giornali a servizio dei loro padroni e dei loro indicibili interessi, insomma tutte le chiacchiere di questi mesi, il vero “Conticidio” lo ha fatto Beppe Grillo. Plateale, chiaro: il suo blog come luogo del delitto, la postura sprezzante, irriverente, come il titolo “una bozza e via”, le parole come una fucilata, quel “non ha visione politica né capacità manageriale”, che non lascia spazio e interpretazioni e margini di mediazione.

Così, con un sonoro vaffa, l’Elevato dall’Elevato, con la stessa disinvoltura con cui fu fatto ascendere per due volte a palazzo Chigi, viene messo alla porta, come accade nei movimenti padronali, carismatici, dove uno vale tutti e chi crea, distrugge. Anzi crea e distrugge senza dover rendere conto di coerenza e incoerenza, compreso il clamoroso ritorno della piattaforma Rousseau, che per primo era stata proprio Grillo a mettere in discussione. Accade spesso alle leadership cooptate, quando il cooptato si mette in testa di far fuori il cooptante, col suo permesso o quando lo sfida senza permesso, in fondo lo abbiamo già visto con Berlusconi, questione di “quid”. Si chiama, banalmente, consenso che, per quanto residuale, ammaccato, ridotto, Beppe Grillo ha dimostrato di avere, perché quantomeno lo ha misurato nel decennio che ha trasformato l’anti-politica in sentimento diffuso, per l’altro è tutto da dimostrare. Può piacere o non piacere, si può condividere o non condividere, ma tecnicamente, non si è mai visto il parricidio col consenso del padre, in un movimento coreano come tasso di democrazia. Perché solo la democrazia rende contendibili le leadership.

Nelle parole di Grillo, che riserva a uno dei suoi le carezze che ha sempre riservato agli avversari – se invece di un post fosse stato un video ci sarebbero state urla e pugni sul tavolo, perché Grillo è Grillo, sono le sue modalità, – colpisce proprio questo: praticamente spiega che è un incapace colui al quale è stato affidato, anzi, ha affidato il governo del paese per ben due volte. Perché se servono visione politica e capacità manageriale per guidare i Cinque Stelle, con tutto il rispetto a maggior ragione occorrono per guidare l’Italia e se uno non ce l’ha oggi, non ce l’aveva neanche prima. E allora povera Italia. Se, come diceva il saggio, in ogni critica c’è un’autobiografia, questo licenziamento con o senza giusta causa di Conte, rappresenta la più grande autocritica involontaria, in rabbia veritas, che mai si sia vista nella storia recente, mica male.

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