Se l’Europa dà battaglia sui valori Se l’Europa dà battaglia sui valori

MASSIMO GIANNINI

Abbiamo alle spalle una settimana non banale. Il teatrino politico italiano ci offre la commedia ruspante dei Cinque Stelle prossimi all’eclissi. Della civica cosmogonia fondativa non c’è più traccia: acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo sono ormai puri feticci, svuotati di senso e di consenso. Degli alti ideali dell’origine non c’è più nulla: alterità, onestà, legalità, cittadinanza, democrazia diretta sono ormai parole vacue, senza vissuto e senza contenuto. Una straordinaria Supernova Populista – le visioni di Casaleggio padre, le intuizioni di Grillo, le “interlocuzioni” di Conte – svanisce in un cosmico Nulla. Da Rousseau a Bergson il passo è stato breve. Il “non-partito”, guidato dai “non leader” e gestito dal “non statuto”, si estingue tra scontrini e carte bollate, ricorsi e controricorsi, scissioni ed epurazioni.

Tra le macerie oggi restano solo i “vaffa”, non più gridati in piazza ma “mandati a dire” in una miseranda guerricciola di potere tra l’Elevato Beppe e l’Avvocato del Popolo. Forse alla fine rappattumeranno anche una tregua, capiremo poi con quali effetti sul governo. Ma il resto è già perduto. Tutto. Tranne l’identità: perché non puoi perdere ciò che non hai mai saputo cercare e infine possedere. E questo, volendo, non vale solo per i pentastellati, ma per tutti i partiti nostrani. Il teatro politico europeo, in compenso, ci regala questa volta uno spettacolo possente. Può darsi che alla fine sia servita anche a nascondere il bottino troppo magro sui dossier più rilevanti, dalla pandemia all’immigrazione. Ma la “battaglia sui valori” che si è combattuta alla due giorni del Consiglio Ue ha pochi precedenti nella storia più recente del Vecchio Continente.

L’unica che torna alla mente è forse quella intorno alle “radici giudaico-cristiane”, ai tempi della Convenzione che tra il 2003 e il 2004 elaborò la carta costituzionale dell’Unione. Il “processo” a Viktor Orban e alla sua legge che vieta la rappresentazione dell’omosessualità ai minori è molto di più di una campagna doverosa contro le discriminazioni sessuali. È piuttosto l’occasione preziosa per un ragionamento più profondo sulla natura e la cultura di quella che chiamiamo Europa. Lo spunto per una riflessione critica e autocritica che dovremmo avviare subito, qui ed ora, e non lasciar cadere nell’attesa burocratica del prossimo appuntamento fissato dall’agenda di Bruxelles. Come ci ha raccontato Marco Bresolin, sulla carta le premesse ci sarebbero tutte. I capi di Stato e di governo sono stati chiari. Mario Draghi è stato il più severo contro il premier ungherese, al quale ha ricordato che “l’Europa ha una storia antica di oppressione dei diritti umani”, e proprio per questo è stato scritto l’articolo 2 del Trattato, che attribuisce alla Commissione il potere di decidere chi lo ha violato o no, “e quel Trattato lo avete firmato anche voi”.

Angela Merkel ha detto: “Non ricordo un dibattito così profondo sui valori come quello che abbiamo avuto durante questo summit”, e poi ha ricordato che “l’Unione non è soltanto un mercato unico, ma un’unione di valori, e se questi valori non sono condivisi dobbiamo parlarne…”. Emmanuel Macron ha fatto il passo successivo: “Non possiamo porre su un livello di equivalenza i valori e i soldi… C’è un’impennata illiberale in quelle società che hanno battuto il comunismo e che hanno raggiunto l’economia liberale, oggi attratte da modelli politici e di società che sono contrari ai nostri valori. Perché? Cosa è successo? E come contrastiamo questo fenomeno? Servono risposte politiche, serve un’analisi chiara, cosciente e profonda di ciò che è successo nelle società post-comuniste poi entrate nell’Unione…”.

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