Letta di Draghi e di sinistra piace

Letta di Draghi e di sinistra

I sondaggi sono come le rondini, alcuni però fanno più primavera di altri. Al Nazareno leggono Ipsos che assegna al Pd il ruolo di primo partito: 20,8% contro il 20,1% della Lega, superata anche da FdI che si piazza seconda con il 20,5%. Decimali, certo. Ma, dice Letta: “Erano 4 anni che i sondaggi non ci davano primo partito, vuol dire che ci siamo e ce la giochiamo, non siamo ai margini. La mia priorità è la lotta alle diseguaglianze”. La rilevazione di Pagnoncelli contiene un’altra buona notizia per i Dem: continua (dopo un iniziale calo) la crescita di consenso personale di Draghi, al 70.8%, quasi venti punti sopra l’ex premer Conte al 52,1%. Alla vigilia della partenza delle Agorà (lunedì la direzione) per allargare la base – di Fed e Gad, ovvero l’antico dibattito su federazione e dintorni non si vuole sentire parlare – è il brindisi che mancava da tempo. E che i Dem si spiegano in due modi: anima sociale e corpo draghiano.

C’è l’offensiva identitaria di Letta che va dal ddl Zan allo ius soli all’imposta di successione: “Non siamo un partito pret-a-porter, che si porta su tutto – dice Enrico Borghi, della segreteria del partito – Non siamo un lucido da scarpe neutro…”. In vista del 2023 c’è un’Operazione Biden: “Lui ha tenuto insieme Sanders e la Ocasio-Cortes con i Dem conservatori di Texas e Georgia – continua Borghi – Noi siamo il mastice della coalizione italiana, il punto di riferimento stabile dei progressisti come 4 mesi fa si diceva di Conte”. Identità e pragmatismo, perché il secondo elemento per crescere è fare di necessità virtù: “Non vedo strategia diversa che usare il dividendo della buona resa del governo Draghi – sintetizza Stefano Ceccanti, deputato e costituzionalista – Nel 2023 si vedranno gli effetti del Recovery. E’ l’unica opzione se vogliamo crescere oltre l’elettorato che ci vota per appartenenza identitaria”.

Già: ma il “dividendo draghiano” presuppone – oltre al fatto, dato per scontato, che l’attuale premier non si butti in politica – che la golden share dell’unità nazionale non finisca nelle capienti tasche di Salvini: “Certo, il Pd deve diventare la scelta di voto “naturale” di chi apprezza Draghi – concorda Ceccanti – Bisogna orientare l’azione dell’esecutivo in modo che non se la la intesti la Lega”. E’ più o meno quello che ha detto Guerini, ministro della Difesa e capo della corrente Base Riformista che tanto ha fatto penare Zingaretti. La novità è che nell’ultima assemblea al Senato la corrente si è spaccata, con “scomunica” dell’ala dura che fa capo all’ex capogruppo Marcucci. E prevalenza invece di un’ala che vuole collaborare con la gestione lettiana: “Il buon risultato del sondaggio corrisponde alla foto del G7, con Draghi che non segue bensì indirizza – spiega Emanuele Fiano – Il Pd è l’unico partito a poter condividere tutte le decisioni di quel summit. Investire per crescere ed occuparsi della spesa sociale è la visione della sinistra riformista dagli anni Cinquanta in poi”. In ogni caso, il vantaggio su Salvini “copia del prodotto originale Meloni” è tutto da consolidare. L’accento di Fiano va sulle riforme: “Sulla giustizia dobbiamo essere la parte garantista. Sulla P.A. nessuna paura di modernizzare. Sul fisco, la tassa di successione ci rimette in linea con l’Europa e consente di abbassare le imposte al ceto medio”.

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