Siamo rassegnati alla nuova violenza?

di   Beppe Severgnini

La questione terrorizza chi ha figli o nipoti adolescenti, e dovrebbe spaventare chiunque abbia due occhi, un cuore e un cervello. La violenza tra i giovanissimi cresce e cambia. Gli episodi si moltiplicano. A Milano scontri ripetuti, con machete e cani feroci. A Roma risse continue come passatempo; dopo la partita Italia-Turchia, lanci di bottiglie contro i poliziotti e scontri a Campo de’ Fiori. A Torino, fuori dalla scuola media «Rosselli», una ragazzina di 13 anni è stata chiamata «cagna» e «lesbica schifosa» da un gruppo di coetanee, poi pestata a sangue. Portava una borsa con i colori dell’arcobaleno e un collarino rosa. Ogni luogo d’Italia, grande e piccolo, ha brutte storie da raccontare.

La primavera 2021 ci sta riconsegnando una generazione che fatichiamo a capire, nelle sue frange estreme. Incupita dall’isolamento sanitario, vulnerabile alle ossessioni social, priva di miti e modelli (i pochi che esistono pensano solo a far soldi sulla propria popolarità).

Polizia e carabinieri sono molto preoccupati perché si accorgono che è saltato il nesso tra provocazione e reazione, per quanto odioso potesse essere. Non c’è un movente ideologico, come un tempo; non c’è un movente politico o sociale; lo scontro fra bande rivali – patetica imitazione americana – esiste, ma è marginale. È una violenza nuova, casuale e cattiva.

Una violenza spesso senza conseguenze, per chi ne è responsabile. Il codice penale può poco con i minorenni. Il carcere a quell’età non è quasi mai una risposta, anche perché i giovanissimi criminali non hanno consapevolezza dei crimini, dei rischi e delle conseguenze. E la società non trova soluzioni. La cosa più grave è che nemmeno le cerca. Eppure qualcosa di nuovo bisogna inventare, tra pene alternative e servizi sociali.

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