Materie prime, salgono i prezzi: frena la transizione ecologica e digitale. Il ruolo della Cina

di Milena Gabanelli e Rita Querzè

Fabbriche di elettrodomestici, mobili, alimentari, automobili, a singhiozzo si stanno fermando tutte. Proprio ora che riparte la domanda. La questione è che pressoché tutte le materie prime sono diventate introvabili e costosissime. Gli inglesi la chiamano «everything bubble»: la bolla sui prezzi di qualunque cosa. Per un Paese trasformatore come l’Italia, che deve importare quasi tutto, sta diventando un problema serio. Quanto sta accadendo è il risultato di tre fattori che si sommano: reali, finanziari e logistici.

Le cause

Partiamo da quelli «reali». Nei primi mesi della pandemia i valori dei prezzi delle materie prime sono crollati del 20-30%. La Cina, che ha un’economia pianificata, ne ha subito approfittato per fare scorte, avvantaggiata anche dal fatto di essere ripartita con quattro mesi di anticipo. Ma subito dopo i prezzi hanno ricominciato a salire, e ora sono alle stelle, perché tutti i Paesi sono ripartiti di scatto, con i magazzini di ogni continente vuoti per colpa dell’organizzazione «just in time» (le imprese si sono abituate, per essere più efficienti, a non accumulare scorte) e, quindi, adesso vanno riempiti da zero. Poi ci sono cause che hanno a che fare con i mercati finanziari. Le materie prime sono diventate un investimento interessante perché sono prezzate in dollari, moneta debole in questo momento, quindi sono convenienti per chi le acquista in euro o altre valute. Inoltre: investire in titoli di Stato dà rendimenti bassissimi, quindi tanto vale mettere soldi in materie prime e sui titoli derivati a esse legati. A tutto questo bisogna aggiungere l’aumento a dismisura dei costi di trasporto. Il Dry Baltic Index, indice che sintetizza gli oneri di nolo marittimo per prodotti secchi e sfusi (minerali, cereali, eccetera), ha registrato nell’ultimo anno un +605%. Tra le cause anche l’introduzione del nuovo regolamento approvato dall’Organizzazione marittima internazionale che impone a tutte le navi di abbassare la quota di zolfo nell’olio combustibile: dal 3,5% (massa per massa) dal gennaio 2020 si passati allo 0,5%. Questo cambiamento ha comportato la «rottamazione» di parte delle navi e «revamping» di altre, anche per le navi portacontainer e portarinfuse che trasportano merci dalle Americhe, dall’Africa, dall’Asia e dall’Australia, e il costo si è scaricato sui prezzi.

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