Tutti i rischi della Golden Power

Alessandro De Nicola

L’ultimo squillo dello Stato controllore si è verificato pochi giorni fa, quando il consiglio dei ministri ha prolungato il diritto di veto governativo (chiamato “golden power”), che può bloccare in modo molto esteso l’acquisto di aziende italiane, dal 30 giugno al 31 dicembre 2021. Solo poche settimane fa era stato vietato l’acquisto da parte di un gruppo cinese di una nostrana società medio-piccola (28 milioni di fatturato) di semiconduttori. Il premier Draghi aveva spiegato che «la carenza di semiconduttori ha costretto molti costruttori di auto a rallentare la produzione lo scorso anno quindi è diventato un settore strategico» e, per assicurare la continuità di forniture, l’ingresso dello straniero è stato interdetto.

Andiamo con ordine. La normativa ha origine nel 2012 quando il governo Monti, per chiudere una lunga serie di condanne europee delle leggi italiane che all’epoca si chiamavano “golden share”, approvò una norma che limitava la possibilità di intervento dell’esecutivo a tutela di due settori ritenuti strategici, la difesa/sicurezza e le infrastrutture (queste ultime con controlli solo per i compratori extra-UE) e, in effetti, che l’allora Finmeccanica potesse essere comprata da Maduro o Assad era una cosa ragionevole da evitare. Da quel momento in poi, complice anche un Regolamento europeo del 2019 (in realtà volto solo a controllare le acquisizioni da nazioni extra europee) il campo si è allargato a dismisura. Dopo le ultime modifiche del gennaio 2021, passano ora al vaglio governativo le acquisizioni, a prescindere dalla nazionalità dell’acquirente (quindi anche italiani ed europei), nei settori dell’energia, trasporti, acqua, salute e sistema sanitario, comunicazioni, media, trattamento o archiviazione di dati, infrastrutture aerospaziali, elettorali o finanziarie, tecnologie critiche e prodotti a doppio uso (anche militare) come intelligenza artificiale, robotica, semiconduttori, nanotecnologie, biotecnologie, sicurezza alimentare e dell’approvvigionamento di “fattori produttivi critici” tra cui energia e materie prime. Per i soggetti extracomunitari la notifica deve essere effettuata pure per la vendita di una partecipazione superiore al 10% del capitale sociale. Orbene, perché stiamo imboccando una china pericolosa e controproducente?

In primis per il sempre vivo “occhio per occhio, dente per dente”: non possiamo illuderci che se noi facciamo ostruzionismo alle società estere i governi stranieri lascino campo aperto alle nostre. Leonardo ha acquistato appena una settimana fa il 25,1% della società tedesca Hensoldt, leader in Germania nel campo dei sensori per difesa. Come avremmo reagito se la Cancelleria di Berlino avesse detto “nein”? In secondo luogo, l’Italia è già debole in termini di investimenti da oltre confine: 15ma sulle 20 economie più importanti e in diminuzione (fonte: UNCTAD). La proprietà straniera significa integrazione delle nostre imprese in catene del valore mondiale, introduzione di pratiche gestionali più avanzate, diffusione di know how e tecnologia: non è un caso se tutti i paesi (compreso il nostro, a parole) cercano di attirare, non scoraggiare, i capitali forestieri.

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