Le telefonate a D’Alema, l’incognita Dibba. Conte: “Una settimana per il mio M5S”

ILARIO LOMBARDO

Se dovesse rispondere alla domanda su cosa abbia fatto in questi due mesi, da quando non è più presidente del Consiglio, Giuseppe Conte direbbe: «Li ho passati in gran parte al telefono». Sin dal primo giorno in cui ha lasciato Palazzo Chigi l’avvocato ha dovuto fare i conti con un suo limite e una categoria che in politica è essenziale: il tempo. Ora dice di essere «pronto» e che tra una settimana presenterà il suo progetto di rifondazione del M5S. Intanto però ha dilatato il più possibile il tempo, inseguito prima dalle preghiere di chi desiderava che rimanesse punto di riferimento della coalizione tra M5S e Pd e infine di chi (tutto lo stato maggiore dei 5 Stelle più Beppe Grillo) lo ha convinto che fosse meglio avere un partito alle spalle, anche se quel partito è la bolgia indiavolata dei grillini, in eterno equilibrio sopra il Big Bang. A casa della compagna Olivia Palladino, nel pieno centro di Roma, a parte qualche corsetta per recuperare forma, Conte ha intessuto lunghe e profonde conversazioni telefoniche con Goffredo Bettini, amico e stratega del Pd, con il segretario dem Enrico Letta, con il vice Peppe Provenzano, con l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema, con il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, Pd anche lui. Una corrispondenza d’amorosi sensi che non è sfuggita ai musi lunghi del M5S. «Risponde al Pd e non a noi» lamentano. E, a eccezione del capo reggente Vito Crimi e del ministro Luigi Di Maio, sembra proprio che sia così.

In questi due mesi Conte ha parlato poco in pubblico. Ha partecipato a due assemblee del M5S, costretto dalla necessità di placare l’ansia dei grillini che si sentono tagliati fuori, senza una guida e senza una voce. Accanto a lui, in religiosa attesa, sono rimasti i collaboratori più fedeli: il portavoce Rocco Casalino, Maria Chiara Ricciuti, il social media manager Dario Adamo. A loro ha confidato la sua convinzione: «Il M5S deve diventare un partito a tutti gli effetti». Un partito che non può essere esposto agli umori di Beppe Grillo o «ai ricatti» dell’imprenditore privato Davide Casaleggio. Ogni mattina che si sveglia Conte deve autoconvincersi di aver fatto la scelta giusta e non è facile farlo quando ti trovi il M5S nella guerra dei Balcani. Alessandro Di Battista e Casaleggio, in piena sindrome scissionista, e ora anche Grillo che se ne esce a difesa del figlio accusato di stupro con un video che fa a pezzi i principi fondativi del suo stesso Movimento, e costringe l’ex premier a dare una risposta, sollecitato anche dal Pd, nella speranza di preservare la suspense sulla presentazione del nuovo M5S. Oggi invece scadrà l’ultimatum fissato da Casaleggio jr. O gran parte dei parlamentari pagano le somme dovute all’Associazione Rousseau per il funzionamento dell’omonima piattaforma del M5S, oppure il divorzio sarà doloroso. Casaleggio ha detto che è pronto a portarsi via software e database con le centinaia di migliaia di iscritti del M5S. Crimi gli ha detto che non può farlo e gli ha inviato una diffida.

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