Regia a Palazzo Chigi e un team di ministri per gestire il Recovery

Infine c’è un problema emerso nelle ultime ore, dopo il «forte rimaneggiamento» – così lo definisce un ministro che chiede di non essere citato – al piano del governo Conte. Ne sono responsabili in gran parte Cingolani e Colao, i due ministri ai quali la Commissione europea (non una scelta nazionale) dà l’opportunità di spendere più di ogni altro ministero: a conti fatti, il nuovo progetto vale trenta miliardi in più dei 191 promessi sulla carta all’Italia. Draghi ha deciso di assecondare i piani dei due ministri tecnici, e per questo verrà attivato un fondo parallelo da alimentare con il bilancio nazionale, i soldi necessari a finanziare gli altri programmi europei, circa ottanta miliardi nei prossimi sette anni. Giovannini, che finanzierà così anche alcuni dei progetti stradali che il Recovery non gli consente di realizzare, la mette così: «Per una volta l’Italia ha più progetti che soldi a disposizione. Siamo dentro una distorsione cognitiva che ci fa credere di esaurire le capacità di spesa per investimenti con i fondi europei». Resta il tema di fondo, ammesso candidamente da Draghi nell’ultima conferenza stampa: «Abbiamo perso credibilità nella nostra capacità di investire», e non da ieri, ma «svariati anni fa». Il Recovery può essere l’opportunità del riscatto, oppure la pietra tombale di quella credibilità. Per evitare un flop epico, Draghi e Franco hanno pensato ad una struttura di coordinamento che sarà gestita direttamente dalla Ragioneria generale dello Stato. La stessa Ragioneria si farà promotrice di «task force» con le quali darà assistenza tecnica ai Comuni e alle Regioni nella realizzazione di questa o quell’opera. Il 26 e il 27 aprile Draghi spiegherà nel dettaglio al Parlamento settecento pagine che valgono il più importante progetto di investimenti pubblici dai tempi del piano Marshall e la sua credibilità come uomo di governo. –

LA STAMPA

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