La piazza sfida Erdogan sui diritti delle donne: “Non ci chiuderà in casa”

giordano stabile

DALL’INVIATO A BEIRUT. Una marea viola ha invaso le strade della capitale Ankara e delle altre grandi città turche. Bandiere viola, cartelli con scritto «No al ritiro dalla Convenzione di Istanbul». Donne e ragazze con piumini, maglioni, berretti dello stesso colore. Si sono radunate davanti alla sede del Parlamento, del partito Akp, quello del presidente Recep Tayyip Erdogan. Ieri mattina, senza dire nulla, ha stracciato l’accordo contro la violenza sulle donne, che pure aveva firmato per primo dieci anni fa, nella sua Istanbul. Un colpo a freddo, comunicato con una nota sulla Gazzetta ufficiale, mentre i partner europei, e metà del suo popolo, venivano lasciati al buio. La reazione è stata imponente. Nel pomeriggio le manifestanti si sono unite nel centro di Ankara, dal podio una di loro ha cominciato a leggere, uno a uno, i nomi delle donne uccise nell’ultimo anno, vittime di padri, fidanzati e mariti violenti, e convinti dell’impunità. A ogni nome tutte alzavano il pugno chiuso al cielo, con rabbia. Anche un modo per esorcizzare la paura. Con il ritiro dalla Convenzione, è prevedibile, la violenza già a livelli intollerabili finirà per aumentare. La Turchia non ci sta e la decisione potrebbe rivelarsi un passo falso di Erdogan.

Ieri però il presidente era in vena di segnali netti. Ha licenziato il governatore della Banca centrale, reo di aver alzato i tassi di interesse. L’economia è ancora azzoppata dal Covid, anche se le vaccinazioni sono partite con un passo più spedito rispetto all’Europa continentale. La situazione è fluida. Erdogan è tentato dalle elezioni anticipate, serra le file dei suoi, della Turchia profonda che vota in massa Akp. E i notabili del partito, di cultura islamica conservatrice, imputano alla Convenzione di «indebolire la famiglia tradizionale», di «promuovere il movimento Lgbt», già nel mirino del governo all’inizio dell’anno, quando la nomina clientelare del nuovo rettore all’Università del Bosforo ha scatenato l’indignazione giovanile. È l’altro fronte, quello della Turchia laica, urbana, che accusa lo Stato di non fare abbastanza per frenare i femminicidi. Secondo la piattaforma Kadin Cinayetlerini durduracagiz, in meno di tre mesi quest’anno sono state uccise già 74 donne per mano di uomini, dopo che nel 2020 erano stati contati almeno 300 casi accertati e 171 morti sospette. Più di un omicidio al giorno.

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