I partiti e il compito di governare il Paese

di Mario Monti

La crisi del governo Conte 2 e la chiamata di Mario Draghi, la crisi del Pd di Zingaretti e la chiamata di Enrico Letta, hanno ridato vigore a tre dibattiti intrecciati, mai spenti nell’Italia dell’ultimo decennio.

1) Interessi dei partiti e senso di responsabilità nazionale. Il 3 febbraio, appena Draghi aveva accettato con riserva l’incarico conferitogli dal presidente Mattarella e diversi partiti manifestavano incertezza sull’atteggiamento da tenere nei confronti del presidente del Consiglio incaricato, esprimevo su queste colonne la convinzione che tutti i partiti o quasi sarebbero stati disponibili ad appoggiare il nuovo governo e desiderosi di farne parte con propri esponenti. Questo, non solo per l’auspicabile senso di responsabilità nazionale di fronte alla gravissima emergenza sanitaria, ma anche per i legittimi interessi di ciascun partito, in vista degli ingenti sostegni europei alla ricostruzione e alla crescita dell’economia.
Speriamo che tutte le forze politiche della composita maggioranza, così come la sola all’opposizione che ha un ruolo altrettanto vitale per la democrazia, continuino a concentrarsi sul superamento della crisi pandemica. Non si lascino distrarre dai commentatori politici, i quali non resistono alla tentazione di «pesare» quotidianamente il quantum di destra e il quantum di sinistra rinvenibili nelle decisioni del governo.
Sarebbe pericoloso se qualche partito dovesse avere la sensazione, come talora accade per motivi imperscrutabili, di pagare un prezzo maggiore di altri, in termini di consenso elettorale stimato, nell’appoggiare il governo in questa fase di possibile impopolarità da chiusure, prima che subentri la fase successiva, di probabile popolarità da partecipazione al Recovery fund.

2) Il caso del Pd. Un partito che, nei suoi tormentati dibattiti, è spesso assalito dal dubbio se abbia fatto bene, sotto il profilo dei propri legittimi interessi, ad assecondare più sistematicamente di altri gli sforzi, di solito auspicati dai presidenti della Repubblica, di dare vita a governi di responsabilità nazionale, è il Pd. In segmenti di quel partito, così come in vari osservatori politici, si è gradualmente sedimentata la convinzione che il convinto sostegno dato al governo nato nel novembre 2011 per superare la crisi finanziaria (guidato dal sottoscritto, come qualcuno ricorderà) abbia nuociuto in termini di consenso. Sia per le politiche necessariamente restrittive di quel governo sia, prima ancora, perché il Pd avrebbe avuto un grosso successo elettorale se il presidente Napolitano, caduto il governo Berlusconi nel novembre 2011, avesse sciolto le Camere e indetto elezioni anticipate.
Nel momento in cui il Pd affronta un nuovo travaglio alla ricerca della propria identità e chiede aiuto a Enrico Letta, che ha ben conosciuto quella fase, può valere la pena di riandare ad opinioni espresse al riguardo da autorevoli esponenti del partito.
Pier Luigi Bersani, 17 gennaio 2020 (Repubblica). Domanda: «Lei contribuì a dare vita nel 2011 al governo Monti. Secondo molti è l’errore capitale della sua carriera». Bersani: «L’idea che, caduto Berlusconi, si sarebbe potuto tornare al voto è destituita di ogni fondamento. Al centrodestra venne meno l’appoggio di una ventina di parlamentari solo perché c’era la garanzia che il Parlamento non si sarebbe sciolto. Altrimenti ci saremmo tenuti Berlusconi con 580 punti di spread. Detto questo, era una balla che fossimo a un passo dal default? Se è così, allora ha ragione chi mi critica. Se non era una balla, e non lo era, abbiamo fatto bene».
Sulle politiche poste in atto allora per superare la crisi finanziaria e avviare le riforme, appoggiate in Parlamento sia da Bersani, sia da Berlusconi, sia dal Centro — tutte specificate già nel programma presentato per la fiducia e disegnate per ripartire tra tutte le parti politiche e sociali i sacrifici necessari — Paolo Gentiloni, in seguito presidente del Consiglio e ora commissario europeo, suggeriva il 18 luglio 2012 («L’agenda Monti conviene al Pd», Europa Quotidiano) che il Pd si presentasse alle elezioni del 2013 inlinea di continuità con quelle politiche, aggiornate ove necessario.

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