Cesa, l’indagine, un colpo alla trattativa per allargare l’alleanza: le due strade di Conte

di Monica Guerzoni

ROMA Lorenzo Cesa lo cercavano tutti, ci parlavano tutti e molte volte la telefonata per il leader dell’Udc partiva da Palazzo Chigi. Dove ieri, quando la «bomba» dell’indagine per associazione a delinquere è esplosa e le schegge hanno cominciato a rimbalzare sul web, l’ansia del premier è diventata paura. «I numeri al Senato sono preoccupanti», si era sentito dire al mattino il premier nella prima videconferenza con i capigruppo.Conte ha ostentato sicurezza, ha detto «abbiamo la maggioranza assoluta alla Camera e la maggioranza relativa al Senato e tutto il tempo per rafforzarci». Ma Luigi Di Maio, che pure in questi giorni sostiene pubblicamente Conte, non aveva ancora stoppato il «dialogo con soggetti indagati per mafia» e quindi il tentativo di attirare l’Udc in maggioranza.

E non è solo Cesa il problema. Gli aspiranti «costruttori», centristi, azzurri o renziani che siano, si affacciano e si ritraggono, perché la scialuppa dell’avvocato non appare abbastanza solida da traghettarli a fine legislatura. E poiché il rischio di non farcela si fa sempre più concreto, Conte torna ad accarezzare la suggestione del voto anticipato. Raccontano che «la voglia di elezioni in lui è fortissima». L’avvocato guarda ai sondaggi gonfi del suo personale consenso e vede le urne come l’unica via di fuga, nel caso il suo fragilissimo governo dovesse cadere. Dal Nazareno è ripartito il pressing per convincerlo a imboccare la stretta via del Conte ter: presentarsi al Colle da dimissionario, con la lista dei ministri in tasca e sperare che Mattarella gli affidi un incarico esplorativo. Ma se tanti dem pensano che l’unica strada sia ricucire con Renzi, lui resiste. E continua la caccia ai volenterosi.

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