Crisi di governo, Pd-M5S: meglio dimissioni e poi il ter. Oggi possibile informativa al Colle

di Marco Conti

Il “rafforzamento della squadra di governo” promesso dal premier Conte parte tutto in salita e non tanto per una questione di numeri ma di prospettiva politica visto che il governo evita a Palazzo Madama la débacle grazie a due senatori di Forza Italia e ad un ex grillino spinto in Aula all’ultimo momento. 

Comporre la quarta gamba della maggioranza in sostituzione di Iv diventa ora complicato perché non sono usciti allo scoperto in «maniera trasparente», come promesso da Giuseppe Conte e Dario Franceschini, un gruppo di “volenterosi” ma si sono acchiappati al volo tre senatori che hanno solo in parte evitato al governo di schiantarsi già ieri sera. Il risultato non soddisfa l’ala governativa del Pd che ha sostenuto Conte nella sfida perchè i 156 sono frutto di un “raschiamento” degli scontenti molto lontani, alcuni anche per storia politica personale, da quelle tradizioni invocate dallo stesso Conte. «Sommando voti contrari e astenuti, Conte non avrebbe avuto la fiducia. Ne prenda atto e domani mattina vada al Colle a dimettersi», sostiene il senatore Lupi che ricorda come nella scorsa legislatura a palazzo Madama l’astensione veniva considerato voto contrario.

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Sino a ieri pomeriggio tutti coloro che trattavano per salvare Giuseppe Conte si dicevano convinti che entro pochi giorni avrebbero trovato una dozzina di senatori pronti a costruire un gruppo, ma il compito appare ora più arduo. «Ma chi viene ora a sorreggere un governo così debole», sosteneva ieri notte un ministro sconsolato. Conte informerà oggi il Capo dello Stato Sergio Mattarella sull’evoluzione della crisi di governo e in questa occasione è probabile che il premier rassicuri il Presidente sui tempi del rafforzamento della maggioranza. Il Quirinale osserva con costante preoccupazione la crisi e il risultato di ieri sera non cambia quel «fare presto» che guarda all’emergenza pandemica e ai tanti problemi del Paese. Il problema per Mattarella è anche il pressing delle opposizioni che già ieri sera chiedevano udienza al Quirinale.

L’obiettivo della maggioranza assoluta non si doveva raggiungere ieri sera, ma resta come obiettivo politico e non solo perché alcuni voti richiedono la soglia del 161. Nel M5S e nel Pd ci si interroga sulla campagna acquisti e su quel gruppo «raccogliticcio», per dirla con Renzi, che ora si dovrà costruire e amalgamare. Un embrione, secondo i progetti, di quel partito di Conte più volte enunciato. 

Da quando è iniziato il tira e molla con Iv, quasi due mesi fa e inizialmente supportato anche dal Pd, Conte ha sempre escluso l’ipotesi delle dimissioni anche in vista di un reincarico dato per certo. Un ultimo tentativo, che prevedeva un passaggio del premier al Quirinale per tentare un “ter”, è stato proposto dal Pd per scongiurare le dimissioni dei ministri di Iv, ma il premier ha sempre temuto che mollare palazzo Chigi anche per un secondo, sarebbe stato e continua ad essere pericoloso. Niente “ter”, quindi, almeno nelle intenzioni del presidente del Consiglio.

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Nel Pd non tutti sono però pronti a sostenere la linea di Conte che è sostenuta dalla pattuglia dem al governo. Il semplice rimpasto non sarebbe sufficiente a cambiare in radice la squadra di governo e permettere, per esempio, al Pd di mettere un piede a palazzo Chigi con Andrea Orlando. Ma gli aspiranti sono anche altri e attese analoghe ci sono nel M5S dove crescono i contrari alla nascita di un partito di Conte che potrebbe rappresentare la scialuppa di salvataggio per molti grillini al secondo mandato. 

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