L’accordo cinese/ Le regole condivise che servono all’Europa

Conviene a questo proposito ricordare che, proprio nel 2020, la Cina è diventato il maggiore partner commerciale dell’Unione Europea, superando gli Stati Uniti. Ed è bene tenere presente che quasi il 40% di questo interscambio fa capo alla Germania. La vita dei grandi colossi industriali tedeschi dipende ormai in modo determinate dalla Cina: per questo motivo la Germania si è affrettata a mettere in atto la dottrina esposta sinteticamente da Joerg Wuttke, presidente della Camera di Commercio tedesca in Cina, che ha ripetutamente affermato che le trattative con Pechino sono necessarie semplicemente perché «se non sei al tavolo, sei nel menu»! Naturalmente questo salto in avanti della cancelliera tedesca non ha trovato d’accordo tutti gli europei, profondamente divisi sul fatto che esso danneggi o favorisca il progresso dei diritti umani o l’adesione alle regole dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro da parte del governo cinese.

Una divisione che, anche senza tenere conto delle diversità di opinione all’interno della stessa politica tedesca, assumerà toni ancora più radicali quando il progetto di accordo sarà discusso nel necessario passaggio di fronte al Parlamento Europeo. I responsabili della nuova amministrazione americana si sono ovviamente affrettati a criticare il passo europeo, esprimendo un aperto disappunto sul fatto che l’Europa, forse approfittando del vuoto americano, non abbia atteso il tempo necessario per elaborare una politica comune. Facile è stata la replica europea nel ricordare che il contenuto del possibile accordo fra Cina ed Europa è sostanzialmente identico a quello che Trump aveva proposto un anno fa al governo cinese, non solo senza farne parola agli alleati europei, ma dando la priorità ad alcune clausole che miravano alla riduzione del deficit americano soprattutto a scapito degli interessi europei. Pur consapevoli che la tensione anticinese è condivisa da democratici e repubblicani, non sappiamo ancora quale sarà la politica della nuova amministrazione americana. Per ora non possiamo che accogliere con grande favore le ripetute affermazione di Biden che gli Stati Uniti possono essere forti solo se lavorano “insieme” ai propri alleati. Anche se la parola “insieme” è spesso vittima di usi inappropriati, essa sottintende che, nell’operare “insieme”, siano rispettate le esigenze e i diritti di tutti i partecipanti. Comprendo quindi che, da parte americana, si possa esprimere un certo rammarico sul fatto che tutto questo sia avvenuto durante il loro vuoto di potere, ma sono tuttavia convinto che le decisioni prese costituiscano un passo in avanti per operare veramente “insieme”, cioè a parità di condizione in un settore, come quello commerciale, nel quale l’Unione Europea non è certo inferiore agli Stati Uniti. Cominciamo quindi a ritornare a lavorare “insieme” per preparare poi un passo ulteriore, che dovrà essere quello di riscrivere le regole per un commercio mondiale meno conflittuale di quello che si è venuto a creare negli ultimi anni. Non sarà certo un’impresa facile.

IL MESSAGGERO

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