Lavoro, giustizia, burocrazia: i nodi politici del Recovery plan

Democratici e 5 Stelle Ora sono stati tre ministri del Pd ad averlo reso più compatto, perché titolari dei ministeri preposti a farlo. E non è colpa di nessuno se le riforme che quel piano implica — la Commissione Ue le richiede, prima di fare i bonifici — investono in pieno i campi di forza di ministri di M5S: Stefano Patuanelli dello Sviluppo economico sul piano energetico nazionale; Nunzia Catalfo del Lavoro sulle nuove politiche per i disoccupati; il Guardasigilli Alfonso Bonafede per le assunzioni e gli interventi nei Tribunali civili; Fabiana Dadone per la pubblica amministrazione, con migliaia di assunzioni da fare con i fondi europei su base di stringenti qualifiche e competenze elevate.

Ciascuna delle riforme previste dal piano minaccia totem e tabù dei 5 Stelle, ma due più delle altre: va contenuta la quota di investimento sull’idrogeno verde, perché poco applicabile all’economia di oggi; ma soprattutto bisogna pensare con urgenza a una riforma degli ammortizzatori sociali per il mercato del lavoro. Su questo aspetto il reddito di cittadinanza e i navigator di impronta 5 Stelle hanno dimostrato di non funzionare e in marzo scade il blocco dei licenziamenti. C’è il rischio che il sistema della cassa integrazione finisca ingolfato da una massa di persone che nessuno prende in carico e riavvia al lavoro. Fondi europei e rimpasto Per questo il confronto sul Recovery non può esaurirsi nel Consiglio dei ministri di oggi, ma ha bisogno di continuare per almeno un mese. Per questo finirà per incrociarsi con il confronto sul rimpasto dei portafogli ministeriali o sulla squadra di un nuovo governo. E per questo il duello personale fra Renzi e il premier Giuseppe Conte sembra all’improvviso contare meno del modo in cui saranno usati questi 209 miliardi. Se non ai due interessati, lo sembra almeno agli alt.

Idrogeno verde o blu: i colori dividono il governo

La bozza di piano uscita ieri sera verso le 21:30 prevede poco meno di otto miliardi di euro da impegnare in «produzione e distribuzione di rinnovabili e sostegno alla filiera». Di queste circa la metà vanno alle fonti di energia rinnovabile come tali e 2,7 miliardi alle infrastrutture di rete. Ci sono poi due miliardi di euro allocati a «investimenti nella filiera dell’idrogeno», fra cui novecento milioni di euro destinati alla riconversione energetica dell’Ilva di Taranto. Sulla parte restante, 1,1 miliardi di euro per progetti sull’idrogeno, è in corso una dialettica nella maggioranza: M5S intende privilegiare l’idrogeno «verde», ricavato da fonti rinnovabili e totalmente decarbonizzato, ma dal costo fra tre e quattro volte più alto dell’idrogeno «blu», ricavato da metano e il 90% delle emissioni di gas serra prodotto viene catturato e iniettato nei giacimenti.

La cabina di regia, il premier e quel capitolo mancante

Nel piano per Next Generation EU distribuito ieri sera dopocena alle delegazioni dei partiti di governo manca un capitolo, il numero tre. È il più sensibile politicamente, perché quella sezione del documento deve descrivere la «cabina di regia» richiesta dalla Commissione europea come centro unico con il quale Bruxelles possa confrontarsi sulla progettazione e l’esecuzione del Recovery fund e al quale possa chiedere conto di ciò che non dovesse funzionare. Ma nel governo non si sono ancora fatti gli arbitraggi fra i poteri che dovrebbe esercitare Palazzo Chigi, quelli del ministero dell’Economia e l’individuazione di una eventuale figura di riferimento e coordinamento per la gestione di Next Generation EU. Il progetto originario presentato dal premier Giuseppe Conte è caduto. Da domani in Consiglio dei ministri si inizia a parlare di cosa dovrà sostituirlo.

Politiche del lavoro e Industry academy

Nella bozza di piano 12,6 miliardi sono riservati alle politiche per il lavoro. Di questa una parte importante, circa la metà, sono dedicati al rafforzamento delle cosiddette «politiche attive per il lavoro»: presa in carico dei disoccupati, formazione adeguata e sostegno nel collocamento. Si parla di «assegno di ricollocazione» (per la prima volta introdotto nel 2015 con il governo di Matteo Renzi) e si introduce un programma di «garanzia di occupabilità dei lavoratori» (Gol): un sistema unico per disoccupati e «persone in transizione» che prevede la profilazione a fini anche di formazione anche con «industry academy». «Si rafforzano i centri per l’impiego — si legge — e si integrano anche attraverso la rete degli operatori privati. Previsti «standard di formazione per i disoccupati profilati presso i centri per l’impiego».

CORRIERE.IT

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