Il vento del nuovo anno

di Antonio Polito

L’opposizione confida nella «legge» di Tocqueville. Il pensatore francese sosteneva che un popolo può sopportare a lungo e senza lamentarsi condizioni difficili e restrizioni della libertà, ma «le rifiuta violentemente non appena se ne alleggerisca il peso». Nei tempi duri il malcontento si accumula, però difficilmente si traduce in azione politica, perché prevale la paura di star peggio. Ma quando
si esce dall’emergenza, e le cose migliorano, ecco che c’è lo spazio per chiedere di più e provare un cambiamento. Una delle tante conferme storiche di questa legge è la vicenda di Winston Churchill: vinse la guerra e perse le elezioni, poiché gli inglesi preferirono voltar pagina dopo tutto «il sudore, le lacrime e il sangue» che lo sforzo bellico aveva imposto.

È probabile che anche da noi la fine della pandemia porti a un cambiamento radicale negli orientamenti dell’elettorato.È del resto già successo che durante una crisi la gente preferisca la sinistra, nella convinzione che sia più generosa nell’uso del denaro pubblico, ma per la ripresa si rivolga a destra, sperando in meno vincoli e più libertà all’iniziativa privata. Però la fine della pandemia è ancora lontana. L’anno nuovo può portare grandi novità politiche, ma intanto si apre con un più tradizionale lockdown. Siamo ancora immersi nella seconda ondata, e non sappiamo se ce ne sarà una terza; se basterà il vaccino e quando arriverà la nostra dose; se e quando riapriranno le scuole dei nostri figli. Abbiamo altro a cui pensare insomma, prima della politica. Per questo i partiti si muovono un po’ al buio. Fanno giochi di palazzo ma col fiato sospeso, aspettando di capire dove andrà il Paese, da che parte tirerà il vento del 2021. Così il governo un po’ alla volta si indebolisce, ma l’alternativa resta avvolta nella nebbia. Eppure questo «grande stallo», invece di stabilizzare la situazione, manda in fibrillazione la maggioranza. La ragione è semplice: anche da quella parte conoscono, e temono, l’effetto Churchill.

Le strategie per evitarlo sono molte e diverse, spesso anche in conflitto tra loro, ma convergono tutte su un obiettivo: ristrutturare l’offerta politica del centrosinistra, così che quando l’emergenza finisca sia pronto qualcosa che sembri nuovo. Il materiale a disposizione non è abbondante, e i voti nemmeno, dunque bisogna lavorare con la fantasia. Gli ingredienti sul piatto sono tre: una nuova alleanza politica, un nuovo sistema elettorale, un nuovo Presidente della Repubblica.

Ognuno si muove a modo suo. Renzi fa il Ghino di Tacco, scuotendo l’albero per cambiare governo (ma con l’apprezzabile scelta di far leva sui contenuti: più o meno gli stessi che fino a un mese fa sbandierava il Pd). Gli eredi della tradizione togliattiana, come Bettini, puntano a far nascere intorno al premier un nuovo partito che dia più spazio coalizionale al Pd (non sarebbe la prima volta, anche D’Alema curò il parto elettorale di Dini nel 1996). Conte e Franceschini, figli e figliastri della tradizione democristiana, contano invece sul fatto che il potere logora chi non ce l’ha: o con un estenuante temporeggiamento moroteo nel caso del premier pugliese, o con una tessitura squisitamente dorotea per il ministro ferrarese, un domino di «alleanze matrimoniali» con i Cinquestelle che parte dalla scelta dei candidati sindaci nelle cinque grandi città al voto in primavera, per arrivare fino al prossimo inquilino del Quirinale da eleggere tra un anno.

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