Pescatori liberati, Conte e Di Maio a Bengasi. Ma la trasferta era necessaria?

di RAFFAELE MARMO

La soddisfazione della comunità nazionale e di ciascuno di noi è massima per la liberazione dei pescatori italiani tenuti prigionieri dai libici del generale Haftar per oltre tre mesi. Ma, passata la gioia, non possiamo non farci qualche domanda e non restare sconcertati dalle zone d’ombra per un atto di cedimento reale e altamente simbolico del premier Conte e del Ministro degli Esteri, Di Maio, di fronte a un signore della guerra che ha compiuto un crimine: il sequestro dei nostri connazionali. E’ sacrosanto fare di tutto per salvare vite umane, ma era così necessario recarsi ai massimi livelli dello Stato, magari carichi di doni, da chi ha tenuto in ostaggio i nostri pescatori?

Non era meglio lasciare l’ingrato compito ai servizi di sicurezza? E allora, delle due, l’una. Conte e Di Maio sono andati in Libia per gloriarsi pubblicamente della liberazione dei cittadini italiani illegalmente detenuti e, in questo senso, prendersi il (presunto) merito dell’operazione? E, dunque, si sono mossi verso Bengasi per conquistare una passerella mediatica, ritenendo, magari, di far dimenticare il grande caos politico e di gestione della pandemia in cui si dibatte il governo? Vogliamo pensare e sperare che non sia questa la motivazione del viaggio. Anche perché c’è davvero ben poco da festeggiare dopo aver lasciato nelle illegali prigioni libiche 18 pescatori per oltre 100 giorni. Semmai, ci sarebbe solo da chiedere scusa a loro e alle famiglie per non aver fatto l’impossibile prima.

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